di Daniele Borioli
Sono passati pochi giorni da quando ho avuto occasione di dedicare, su questo blog, una breve riflessione riguardante le profonde radici con le quali la cultura postfascista ancora oggi innerva parte significativa delle destre italiane oggi al governo. E certamente, in primis, quella che esprime la Presidente del Consiglio. Ed è stata sufficiente la ricorrenza del “Giorno del ricordo”, dedicato all’eccidio criminale delle “Foibe”, consumato nella tormentata area del confine orientale d’Italia, per far suonare di nuovo il campanello d’allarme. Nelle scorse ore, sui muri di alcune strade di Torino, sono comparsi numerosi manifesti che ritraggono il giovane storico Eric Gobetti e sollecitano la sua espulsione dalla città. Dalla sua città. La colpa di cui Gobetti si sarebbe macchiato è quella, infamante, di “negazionismo”, coniata in origine per i sedicenti storici che hanno lungamente tentato di negare la vicenda della Shoah e, negli ultimi decenni, rovesciata dai cultori della destra italiana sulla testa degli storici che, come Gobetti, cercano seriamente di ricostruire il contesto nel quale quel criminale massacro va collocato. Affinché non diventi pretesto, per le destre italiane, di ribaltare il paradigma antifascista sul quale hanno poggiato le loro fondamenta la Resistenza, la Repubblica e la Costituzione.
L’attacco a Eric Gobetti non muove dal tentativo di interporre, su basi scientificamente fondate, un’altra possibile lettura di quell’episodio, ma di oscurare la matrice democratica e nazionale del movimento di liberazione italiano: accusato di essere complice di un progetto di asservimento sanguinario al comunismo, che all’indomani della guerra si affermò come modello statuale in gran parte dell’Europa dell’est.
Basta leggere i libri di Gobetti, per rilevare come esse non contengano alcuna “diminutio” del grave peso morale e civile leggibile in quella pagina terribile e vergognosa della quale, in quell’occasione, si macchiò la guerriglia partigiana di quel territorio a cavallo tra Italia e Jugoslavia. E, in realtà, l’epiteto riservato al giovane storico torinese, viene usato per il suo facile e fuorviante effetto: quello di mantenere vivo l’uso strumentale della tragica vicenda delle Foibe, in funzione, quella sì negazionista, delle responsabilità criminali e di lungo periodo, che la storia assegna al regime fascista e alle politiche discriminatorie, repressive e persecutorie che il regime fascista adottò durante il ventennio nei confronti delle popolazioni non di lingua italiana, da secoli insediate stabilmente in quell’area.
Oltre a ciò, indigna e non può non preoccupare, che il j’accuse rivolto a Eric Gobetti, non avvenga attraverso gli strumenti e nelle sedi proprie del dibattito storico e culturale. Ma prenda la strada di un’aperta, pubblica intimidazione, secondo i più canonici metodi antidemocratici che le destre fasciste e postfasciste sono solite praticare.