di Cecilia D’Elia
Le stime preliminari della povertà assoluta per l’anno 2023 dell’Istat sono un grido d’allarme sulle condizioni di vita di tante famiglie e cittadini. Purtroppo, una condizione di disagio sociale e di disuguaglianza prevedibile. Basta guardare alle scelte di bilancio del governo Meloni, alla cancellazione delle misure di contrasto alla povertà, come il reddito di cittadinanza e alla contrarietà al salario minimo.
Ma guardiamo i dati. Intanto già nel 2022, a causa dell’inflazione era aumentata la spesa delle famiglie. Quelle meno abbienti però non sono riuscite a tenere il passo dell’aumento dei prezzi, incluso quello dei beni e servizi essenziali considerati nel paniere della povertà assoluta. Nel 2023, secondo le stime preliminari, la spesa media mensile cresce in termini correnti del 3,9% rispetto all’anno precedente. In termini reali invece si riduce dell’1,8% per effetto dell’inflazione. Nel 2023, le famiglie in povertà assoluta si attestano quindi all’8,5% del totale delle famiglie residenti (erano l’8,3% nel 2022), corrispondenti a circa 5 milioni e 752 mila persone. Un terribile record.
A questo si aggiunge il peggioramento delle condizioni delle famiglie con un lavoratore dipendente: l’incidenza raggiunge il 9,1%, dall’8,3% del 2022, riguardando oltre 944 mila famiglie. A dimostrazione che una delle grandi priorità è il contrasto al lavoro povero e malpagato.
Altro record è quello dei minori. Nel 2023, l’incidenza di povertà assoluta individuale per i minori è pari al 14%, il valore più alto dal 2014; i minori che appartengono a famiglie in povertà assoluta, nel 2023, sono pari a 1,3 milioni.
Inoltre la povertà riguarda soprattutto le famiglie giovani, con “persona di riferimento” (nuova locuzione per il vecchio e patriarcale capofamiglia) tra i 18 e i 44 anni. Quelle in povertà sono l’11,7.
Minori e giovani famiglie: un furto di futuro, una condizione insopportabile che riguarda troppi giovani.
Servirebbero politiche opposte a quelle messe in campo dal governo, fatte di tagli alla sanità e cancellazione del reddito minimo, per non parlare dell’assenza di reali investimenti per l’occupazione.
Innanzitutto, il salario minimo, perché il lavoro deve essere degnamente retribuito.
Ma i dati sulla povertà ci dicono qualcosa di profondo, che ha a che fare con la crisi della democrazia e il disincanto di tante e tanti che non votano più o non l’hanno mai fatto. La crescita delle disuguaglianze mina la democrazia e l’autorevolezza dei valori costituzionali, che nella vita quotidiana di troppe persone non trovano inveramento.
Affrontare con determinazione il contrasto alla povertà e il diritto al lavoro, allo studio, ad una vita dignitosa è la strada maestra per migliorare la vita di tante e tanti. Ma lo è anche per rimetterci in connessione con la loro vita, per rinnovare la speranza, per restituire dignità alla politica e rendere più forte la democrazia.