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Migranti. Diritto Europeo, dignità e solidarietà: parole ignote al governo

di Toni Mira

Per la premier Meloni la sentenza del Tribunale di Roma sui 12 migranti deportati in Albania è “pregiudiziale” e “arrogante”, per il ministro Nordio è “abnorme” e “la magistratura esonda dai propri poteri”, per il vicepremier Salvini si tratta di “magistratura politicizzata” e “non si capisce perché, secondo qualche giudice, possono arrivare in Italia cani e porci”. Ad accodarsi decine di esponenti del destra-centro con espressioni più o meno colorite. Ma l’hanno letta la sentenza? Abbiamo molti dubbi. Ma soprattutto, l’hanno capita? E qui i dubbi salgono. E allora proviamo a leggerla insieme.

Intanto ricordiamo che non si tratta di una sentenza ma di 12, una per ciascuno dei migranti rimasti in Albania dopo la prima ripartenza di 4, due minori e due fragili. Differenziano solo, ovviamente, per il nome, la nazionalità (Bangladesh e Egitto) e una breve descrizione del loro “paese sicuro”, utilizzando le parole del ministero degli Esteri. Parole che almeno la premier e gli esponenti del Governo dovrebbero per questo conoscere. Ma evidentemente è pretendere troppo.

Andiamo con ordine. Il Tribunale ricorda che le procedure accelerate di frontiera per le domande d’asilo, quelle che in particolare prevedono il trattenimento del migrante (come già fatto più volte in Italia e più volte già bocciate da altri magistrati dal Nord al Sud), si applicano in due casi: domanda di protezione internazionale presentata da un richiedente direttamente alla frontiera o nelle zone di transito, dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli; domanda di protezione internazionale presentata direttamente alla frontiera o nelle zone di transito da un richiedente proveniente da un Paese designato di origine sicura. Ricorda ancora che in base al Protocollo firmato tra Italia e Albania, nei due centri di Schengjin e Gjiader “possono essere condotte esclusivamente persone imbarcate su mezzi delle autorità italiane all’esterno del mare territoriale della Repubblica o di altri Stati membri dell’Unione europea, anche a seguito di operazioni dì soccorso” e “che, rintracciati, anche a seguito di operazioni di ricerca o soccorso in mare, nel corso delle attività di sorveglianza delle frontiere esterne dell’Unione europea”.

Ora, taglia corto il Tribunale, “le circostanze e modalità di arrivo dei migranti presso le suddette aree, previste dal Protocollo e dalla legge di ratifica, escludono che possa anche solo ipotizzarsi l’applicazione della procedura accelerata di frontiera”. E infatti i 12 (prima sedici) erano stati soccorsi/bloccati, assieme ad altri, non alla frontiera ma in acque internazionali, a 15/20 miglia a sud di Lampedusa, dove è stato eseguito il primo screening per escludere minori, donne, soggetti fragili e provenienti da Paesi “non sicuri”. Nessuno ha tentato di eludere i controlli, anzi erano sicuramente ben felici di essere stati soccorsi e se alcuni non avevano documenti con sé è, come ben noto, perché i trafficanti li sequestrano per poterli ricattare e ottenere più. Che è un po’ come fanno in Italia i caporali e italianissimi imprenditori per poter sfruttare meglio i lavoratori immigrati: “Se protesti non ti ridò i documenti”. Ma di questi immigrati la maggioranza di destra-centro parla molto meno.

E veniamo alla seconda motivazione, quella del “paese sicuro”. Qui il Tribunale cita la recente decisione del 4 ottobre della Corte di giustizia dell’Unione europea, che ha sentenziato che un Paese non può essere definito sicuro “qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali per una siffatta designazione”.  Infatti la designazione di un paese come sicuro dipende, come ricordato dalla Corte europea “dalla possibilità di dimostrare che, in modo generale e uniforme, non si ricorre mai alla persecuzione, tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti e che non vi sia alcuna minaccia dovuta alla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno”. E chiarisce che il principio “deve trovare applicazione anche nel caso in cui risultino escluse determinate categorie di persone”. E qui siamo all’unica importante differenza tra le dodici sentenze del Tribunale di Roma che cita le conclusioni della scheda-Paese dell’istruttoria del Ministero degli affari esteri per l’aggiornamento del decreto interministeriale sui Paesi sicuri, che a maggio ha inserito proprio Bangladesh e Egitto.

Le conclusioni, scrive il Tribunale, sono “basate su informazioni tratte da fonti qualificate di riferimento”. Così la Farnesina, a proposito del Bangladesh, scrive che si tratta di Paese sicuro “ma con eccezioni per alcune categorie di persone: appartenenti alla comunità LGBTQ+, vittime di violenza di genere incluse le mutilazioni genitali femminili, minoranze etniche e religiose, accusati di crimini politici, condannati a morte, sfollati climatici”. Mentre per l’Egitto le eccezioni, sempre secondo la Farnesina, riguardano “oppositori politici, dissidenti, difensori dei diritti umani o coloro che possano ricadere nei motivi di persecuzione per motivi politici”. Insomma, per la Corte europea e il Tribunale di Roma, non si può applicare automaticamente il concetto di Paese sicuro, ma vanno analizzate le singole storie personali. Cosa che non avviene con la procedura accelerata, ancor di più nelle condizioni albanesi, senza avvocato, senza mediatori, senza possibilità di contattare i familiari (i cellulari sono stati sequestrati).

E arriviamo alle conclusioni del Tribunale. “L’assenza del presupposto di applicabilità della suddetta procedura impedisce un legittimo trattenimento non soltanto al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato, ma anche con riferimento a qualunque altra motivazione addotta nel provvedimento di trattenimento”. E “determina l’assenza di un titolo di permanenza del richiedente protezione nelle strutture di cui all’art. 4, comma 1, del Protocollo e all’art. 3, comma 4, della Legge di ratifica”. E tanto per essere chiari i magistrati “arroganti” rinfrescano la memoria, ricordando che “il giudizio di convalida dei trattenimenti è uno strumento di garanzia, necessaria per principio costituzionale, dello status libertatis, che deve, quindi, essere riacquisito in caso di non-convalida”. Uno status libertatis che “può essere riacquisito soltanto per il tramite delle Autorità italiane e fuori del territorio dello Stato albanese, delineandosi di conseguenza, in assenza di alternative giuridicamente ammissibili, il diritto del richiedente protezione a riacquisire lo stato di libertà personale mediante conduzione in Italia”.

Chiarissimo, lineare, semplice da capire anche per chi conosce poco le norme e le procedure. A maggior ragione per ministri e politici, in particolare chi si occupa di Giustizia. Invece mentre i 12 erano ancora in viaggio verso Bari, da uomini liberi, non solo si è scatenata la bagarre, ma si annunciano ricorsi e addirittura urgenti provvedimenti legislativi. Vedremo. Ma ricordando bene, a noi e a chi li annuncia, che sarà impossibile farne di contrari alle decisioni della Corte europea, vincolanti per i magistrati e per la stessa Amministrazione.

Non è in ballo uno scontro, ennesimo della politica di destra contro la magistratura, ma uno dei principi cardine della Giustizia e dell’Europa.Oltre a valori ancor più alti di umanità, dignità e solidarietà, dignità. “Non possiamo chiudere la porta al migrante. Il migrante deve essere accolto, accompagnato, promosso e integrato”, è stato l’ennesimo e accorato appello di Papa Francesco proprio in queste ore.

Certo non deportato e trattenuto in Albania.