Emergenza e rimpiatri? Il Governo Meloni non conosce e non vuole ascoltare

di Toni Mira

“La posizione italiana è che occorra rivedere la Strategia dell’Unione europea per la Siria e lavorare con tutti gli attori, per creare le condizioni affinché i rifugiati siriani possano fare ritorno in Patria in modo volontario, sicuro e sostenibile così come definito da Unhcr”. Lo aveva detto la premier Giorgia Meloni nelle sue comunicazioni al Senato il 15 ottobre in vista del Consiglio Europeo. E lo aveva ripetuto due giorni dopo a Bruxelles. Mentre a Damasco governava ancora il dittatore Assad. Intenzioni bloccate dalla Ue. “Al momento teniamo la linea dell’Unhcr, per cui non ci sono le condizioni per un ritorno sicuro, volontario e degno dei rifugiati in Siria”. Lo ha affermato il 9 dicembre il portavoce Ue per gli Affari Esteri Anouar el Anouni, durante il briefing con la stampa a Bruxelles, dopo la caduta del regime di Bashar al Assad. Ma Meloni non molla. Così, dopo un vertice a Palazzo Chigi, comunica la sospensione delle richieste di asilo dei siriani, che anticipato da altri Paesi europei. Meloni mal consigliata? Sfortunata? Poco preveggente sugli sviluppi internazionali? Sicuramente molto più attenta alle dinamiche politiche interne italiane che a quelle internazionali.

Probabilmente sulle intenzioni della premier hanno influito i dati del forte aumento degli sbarchi proprio dei profughi siriani, e così ha indicato la via dei rimpatri. Un vero e proprio boom di immigrati siriani negli ultimi cinque anni, da zero arrivi del 2019 a 12.029 di quest’anno. Con una crescita del 630% solo negli ultimi tre anni: erano stati 1.909 nel 2021. I siriani sbarcati nel 2024 rappresentano la seconda nazionalità dopo i bengalesi, arrivati a 13.033. Sono le uniche due nazionalità in aumento rispetto al 2023, con un +2.526 per i siriani e un +911 per i bengalesi. Ricordiamo che il Bangladesh è stato inserito il 7 maggio nell’elenco dei cosiddetti “Paesi sicuri” e proprio mentre era attraversato da tensioni sfociate in una rivolta. Paese poi definito “non sicuro” dal Tribunale di Roma che due volte ha disapplicato il trattenimento nei centri in Albania proprio di migranti bengalesi, oltre che egiziani (Egitto, altro “Paese sicuro” per il Governo malgrado la drammatica vicenda di Giulio Regeni). Altro incredibile tempismo del governo di destra e anche non conoscenza (vera o camuffata) delle dinamiche dei flussi migratori.

“Il vero rischio per noi è che ci sia – a causa di questa nuova guerra civile in Siria – un’altra crisi migratoria”. Lo aveva ripetuto più volte nei giorni scorsi il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. In realtà come abbiamo scritto, c’è già stata. Mentre è vero il dato rivendicato ogni giorno da esponenti di governo e della maggioranza che il totale degli sbarchi sono calati quest’anno di circa il 60% rispetto al 2023, non così quelli di siriani e bengalesi.

Ma gli arrivi dei siriani sono tutt’altro che un’emergenza, checché lo pensi Giorgia Meloni. Infatti malgrado ne siano sbarcati più di 30mila negli ultimi quattro anni, quelli attualmente residenti in Italia sono poco più di 6.500. Tutti gli altri, intere famiglie, non fanno domanda d’asilo e risalgono la Penisola per raggiungere il Nord Europa. Una scelta precisa, come mi ha spiegato Vittorio Zito, sindaco di Roccella Jonica, paese calabrese simbolo dell’accoglienza, il luogo dove arrivano moltissimi siriani, provenienti dalla rotta turca, quella anche dei due drammatici naufragi di Cutro e al largo di Roccella. “Nessuno fa domanda d’asilo, neanche le famiglie con bambini. Meglio irregolari ma in grado di raggiungere il Nord Europa, piuttosto che rifugiati in Italia”, sottolinea il sindaco. E questo spiega (ma solo in parte) il fatto che siano stati proprio alcuni Paesi nord europei i primi a dire “stop” alle domande di asilo. Oltre alla Grecia, dove sbarcano molti siriani.

Ma come mai negli ultimi anni è così cresciuto il numero dei profughi siriani arrivati in Italia? Me lo ha spiegato con chiarezza Douaa Alokla, fuggita da Damasco nel 2013 con la famiglia, dopo il grave ferimento del padre nel bombardamento della casa, che lo aveva reso invalido. Tre anni in Libano (“In sette in una stanza”), lei costretta a lavorare poco più che bambino. Poi finalmente nel 2016 grazie ai corridoi umanitari l’arrivo in Italia. Ora vivono a Camini, piccolo paese della Locride in Calabria esempio di bella, efficiente e efficace inclusione, anche se poco conosciuto. Douaa dopo aver completato gli studi è iscritta a Psicologia, ha scritto un libro sulla sua storia “Damasco è dove sono” e fa la mediatrice culturale. Con questo ruolo (per Caritas, Tribunale, Forze dell’ordine) ha incontrato molti dei connazionali sbarcati in Calabria. “Sono persone che erano fuggite nei Paesi vicini: Libano, Giordania e Turchia. Hanno subito maltrattamenti legali, sanitari, per la casa e la scuola. Ma ormai la speranza di tornare in Siria era quasi zero. Così hanno deciso di partire per l’Europa. Non si vogliono fermare in Italia perché sanno che qui non c’è molto aiuto, soprattutto per i figli”. Partono correndo molti rischi. “Sono quasi tutti siriani i 30 dispersi nel naufragio al largo di Roccella il 17 giugno”. Ed è toccato a lei parlare coi parenti, così come con i siriani arrivati dalla Libia, una rotta nuova per loro. “Molti sono vittime di tortura, un padre è stato tenuto per tre anni al buio in un lager. Poi è riuscito ad arrivare in Italia e ha anche ottenuto il ricongiungimento della famiglia”. Storie che evidentemente questo governo di destra non conosce o non vuole ascoltare.

L’importante è continuare a parlare di emergenza e di rimpatri.