Una casa ci vuole, in Costituzione: iniziativa popolare e diritto all’abitare.

di Angelo Schillaci

Il 3 aprile è stata presentata, alla Camera dei Deputati, la proposta di legge di iniziativa popolare promossa dal Comitato “Ma quale casa?” e finalizzata a inserire in Costituzione un riferimento esplicito alla garanzia dell’accesso all’abitare.

La scelta del mezzo – la proposta di legge di iniziativa popolare – è un atto di fiducia negli strumenti di partecipazione democratica che la nostra Costituzione mette a disposizione della cittadinanza, in un tempo di sfiducia, ma anche di aperto attacco, verso le istituzioni della democrazia.

Nel merito, si è deciso di “tornare ai fondamentali”, intervenendo sul testo della Costituzione. Il diritto all’abitazione è stato riconosciuto da una giurisprudenza costituzionale importante e corposa, fin dalla seconda metà degli anni Settanta: a dimostrazione del fatto che fin dall’intenzione del Costituente anche i luoghi in cui si realizza il pieno sviluppo della persona umana – e quindi prende corpo l’istanza egualitaria – hanno valore, a partire dalle quattro mura in cui si deve avere il diritto di vivere.

Per lo stesso motivo, le politiche per l’abitare hanno rappresentato una porzione importante delle politiche sociali dell’epoca repubblicana, almeno fino alla fine degli anni Ottanta. E tuttavia, da quel momento in poi, se ne registra la sofferenza, con la crescente difficoltà per lo Stato, le Regioni e gli enti locali di promuovere misure concrete ed efficaci per fare fronte a un disagio che, lungi dall’essere scomparso, si è piuttosto diversificato e approfondito nelle sue forme. Basti pensare, solo per fare due esempi recentemente assai discussi, alle torsioni del mercato delle locazioni indotte dall’incapacità di far fronte, con politiche pubbliche adeguate, al soverchiante interesse privato al ricorso a locazioni brevi, finalizzate ad assecondare la crescente domanda di accoglienza turistica, con un impatto assai rilevante sulla stessa configurazione degli spazi urbani. O ancora, alla domanda di alloggi da parte delle e degli studenti che frequentano l’università lontano da casa, e non hanno accesso a un’edilizia universitaria di qualità: di nuovo, la fragilità delle politiche pubbliche in materia – cui non ha posto rimedio in modo decisivo nemmeno l’attuazione del PNRR – si traduce in una situazione di grave sofferenza e ineffettività di un fascio di diritti fondamentali che vanno dall’abitare, allo studio, a condizioni di vita salubri e dignitose, fino al diritto al libero svolgimento della propria personalità in condizioni materiali adeguate.

Nella crisi strutturale delle politiche per l’abitare, restano prese aspirazioni individuali e collettive, esperienze di vita, desideri; e resta preso, soprattutto, il dovere repubblicano di costruire una società che sia davvero a misura dell’emancipazione della persona.

Una grande questione democratica, quindi, se della democrazia si assume un concetto integrale.

Ho avuto il privilegio di collaborare con il Comitato nell’elaborazione della proposta di legge. Un percorso lungo, fatto di discussioni, riflessioni condivise e soprattutto molto studio: dalla scelta delle parole – che, trattandosi della Costituzione, devono essere poche ma dense e capaci di sintetizzare la complessità di istanze e voci diverse – allo studio delle esperienze costituzionali di altri Paesi, che già da tempo danno riconoscimento costituzionale esplicito al diritto all’abitare. Su questa base, si propone la modifica degli articoli 44, 47 e 117 della Costituzione.

L’articolo 44 prevede attualmente che la legge possa imporre obblighi e vincoli alla proprietà terriera per conseguire il razionale sfruttamento del suolo e stabilire equi rapporti sociali. In tali finalità abbiamo individuato il solido fondamento per introdurre un riferimento esplicito al compito della Repubblica intera – nelle sue articolazioni istituzionali ma anche nella responsabilizzazione del settore privato, secondo una logica di tipo sussidiario – di indirizzare e coordinare lo sviluppo delle aree urbane e garantire l’accesso all’abitazione, come bene primario e mezzo necessario per assicurare alla persona l’esercizio effettivo dei diritti e una vita libera e dignitosa. La modifica all’articolo 47 – che già favorisce l’accesso del risparmio popolare alla “proprietà” dell’abitazione – aggiunge un riferimento importante anche al “godimento” dell’abitazione stessa, con l’obiettivo di indirizzare le politiche relative al mercato delle locazioni. Infine, si interviene sull’articolo 117 della Costituzione, per definire con maggior precisione il riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di politiche per l’abitare. Così, si introduce una nuova competenza legislativa esclusiva dello Stato, chiamato a dettare le “norme generali in materia di politiche abitative”, imprimendo un indirizzo comune all’articolazione dell’azione delle altre istituzioni della Repubblica in questo campo; e si inserisce tra le competenze concorrenti – quelle in cui, cioè, lo Stato detta le norme di principio, e la Regione le norme di dettaglio – anche quella relativa all’elaborazione dei programmi di edilizia residenziale pubblica, ad integrare quella in materia di governo del territorio.

Con la scrittura costituzionale, non si definisce soltanto una più solida cornice di principio delle politiche pubbliche per l’abitare, ma si riconosce nella casa uno strumento fondamentale di emancipazione e realizzazione della personalità. Soprattutto, si individua un “luogo” – non solo simbolico – in cui portare ad esplicita emersione, ed accogliere, una costellazione di voci ed esperienze non sempre ascoltate.

La proposta è già depositata e aperta alle firme (tutte le informazioni per firmare sono disponibili all’indirizzo https://www.maqualecasa.it/). Ora è il tempo di mobilitarsi, tutte e tutti, per dare voce a un’esigenza urgente e direttamente collegata alla garanzia di condizioni di vita degne e, quindi, alla costruzione di eguaglianza e giustizia sociale.