di Stefano Vaccari, pubblicato su l’Unità di venerdì 12 luglio
Ieri la Camera ha approvato, definitivamente, il decreto Agricoltura. Come al solito mettendo la fiducia e negando, quindi, qualsiasi confronto parlamentare.
Un decreto insoddisfacente, che arriva in ritardo e si limita alla gestione ordinaria di alcune problematiche. Interventi parziali che possono dare una boccata d’ossigeno per il comparto agricolo ma che si esauriscono nella brevità del tempo previsto collegato alle risorse messe a disposizione. L’agricoltura ha bisogno, di contro, di interventi strutturali, che ricollocano il comparto e lo rendono protagonista nella fase complessa della transizione ecologica. Sarà infatti una estate all’insegna della crisi idrica e della siccità e da Salvini, Lollobrigida e Fitto ci si limiterà ad organizzare l’emergenza portando, dove possibile, navi e autobotti per non lasciare i rubinetti chiusi delle case e le aree agricole senza le necessarie irrigazioni. Senza contare il grave colpo che riceveranno molti prodotti legati all’alimentazione umana e degli animali.
Stesso dicasi per i gravi problemi innescati dai mutamenti climatici che peraltro la destra continua a negare. Nessuna misura di adattamento, di mitigazione e di contrasto per affrontare strutturalmente i mutamenti climatici. Si interviene sull’emergenza successiva ai cataclismi anche con gravi ritardi come sta avvenendo in Emilia Romagna.
Sulla pesta suina il governo si limita ad annunci e a nominare i commissari. Serve un piano straordinario, effettivamente operativo, per limitare drasticamente la presenza dei cinghiali. È poca cosa prevedere un mese in più di caccia. Il settore suinicolo rischia entrare in piena crisi produttiva visto che si sta allargando l’areale del virus della peste suina.
Ancora più grave il fatto che il decreto, pur potendolo fare, non è intervenuto, come avrebbe dovuto per affrontare la grande questione della lotta al caporalato per di più alla luce della drammatica morte di Satman Singh nelle campagne di Latina.
E’ morto nell’angolo di una strada, con il braccio tagliato lasciato dentro una cassetta come se fosse un rifiuto di cui disfarsene velocemente. Non è morto accidentalmente ma è stato ucciso da un sistema che per 4 euro l’ora ha sfruttato il suo bisogno di lavoro, senza dare alcuna dignità. Un sistema che ha bisogno di donne e uomini invisibili per fare girare l’economia, e per fare lavori che gli italiani non vogliamo più fare. Ridotti a schiavi da caporali senza scrupolo assoldati da pochi ‘prenditori’ alla ricerca di sempre più ingenti guadagni. Il giovane indiano Satnam Singh è uno dei tanti giovani che raggiungono il nostro Paese in cerca di un futuro diverso da quello che mai avrebbero avuto nel loro Paese d’origine e dal quale scappano salendo su un barcone o girando con mezzi di fortuna lungo le strade dell’Europa. Un ragazzo che insieme a sua moglie Alisha era aggrappato a una vita fatta di stenti e di sofferenza. Satnam è stato ucciso anche dall’indifferenza e dall’ipocrisia delle istituzioni che fanno leggi avanzate di tutela e poi irresponsabilmente non le dotano dei mezzi e delle risorse necessarie.
Il caporalato in agricoltura è un male assoluto così come lo sfruttamento del lavoro in altri settori da parte di imprenditori voraci e compiacenti. Servirebbe un colpo d’ala. Applicare davvero la legge 199 del 2016, che è una buona legge, e respingere l’assalto dei carnefici. Servirebbe che la buona agricoltura si mettesse alla testa di questa battaglia di civiltà per isolare e denunciare chi inquina un comparto straordinario, la cui correttezza non è stata mai in discussione. C’è un interesse collettivo da salvaguardare e c’è la morte di Satnam da riscattare, insieme a tante altre morti che hanno segnato tragicamente le nostre giornate in altri luoghi di lavoro.
Nelle campagne italiane, come ci ricorda l’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai CGIL, ci sono 230mila lavoratori senza contratto e senza diritti. Di questi, 55mila sono donne e il 30% non sono migranti extra-comunitari, ma cittadini italiani o della Ue. Un bracciante su quattro lavora in nero e la paga media di una giornata di oltre 10 ore è di 20 euro.
Nei giorni scorsi l’Ispettorato nazionale del Lavoro e il comando dei carabinieri per la tutela del lavoro hanno effettuato una serie di controlli su 306 aziende. 206 sono risultate irregolari (66,45%), i lavoratori controllati sono stati 2.051, di cui 616 risultati irregolari (30,03%), di questi 216 sono risultati completamente in nero (10,53%); 786 posizioni lavorative (38,32%) sono risultate essere ricoperte da cittadini extracomunitari, dei quali 308 (39,18%) impiegati irregolarmente con 96 persone completamente in nero e 22 privi di permesso di soggiorno.
Dati che certamente non esauriscono un ventaglio imprenditoriale molto ampio ma che devono far riflettere anche nelle organizzazioni professionali e nella cooperazione perché possano essere tutelati la maggior parte degli imprenditori che lavorano e producono nel rispetto delle norme e della dignità dei lavoratori e delle lavoratrici.
Il giorno dopo della morte di Satnam si sono levate grida di dolore e di protesta da ogni dove. Alcune legittime, altre no. Quella morte e quelle ripetute morti potevano essere evitate. Non è stato fatto.
Anche dopo le tre manifestazioni promosse dai sindacati che si sono svolte a Latina per chiedere un netto cambio di marcia sulla lotta al caporalato, dovremo essere tutti convinti che lo sfruttamento sul lavoro è un male assoluto. Ma così non è!
Come intende il governo, assente alle manifestazioni di Latina, concretamente applicare la legge sul caporalato? Il ministro Lollobrigida potrebbe esercitare le norme già attive della legge 199 che serve a respingere l’assalto dei carnefici dello sfruttamento nei campi. Dovrebbe convocare il tavolo con i sindacati visto che l’ultima volta risale nel dicembre 2022. Serve essere concreti e andare al di là delle urla di dolore del giorno dopo. Servono fatti e comportamenti coerenti con la gravità della situazione: oltre all’abolizione della Bossi-Fini, occorre adottare il ‘durc’ di congruità, il documento che attesta la regolarità contributiva verso Inps, Inail e Casse edili, così come avviene già nell’edilizia anche nel mondo agricolo. Ci si deve arrivare anche in base alle esperienze già maturate con gli indici di coerenza sperimentati nei patti bilaterali.
Le misere paghe a nero servono per tenere bassi i prezzi dei prodotti. Serve cambiare il sistema. Si faccia una legge che consideri l’immigrazione una risorsa programmando flussi e rapporti bilaterali.
Lavoratori formati e con paghe dignitose, sicurezza e tutele sanitarie, contrasto al lavoro irregolare, intolleranza verso l’evasione fiscale, giusto prezzo per il cibo pulito e di qualità. Questa la strada maestra che ci aspettavamo che fosse presente anche nel decreto Agricoltura.
La transizione ecologica e il nuovo modello di sviluppo al quale dovremmo approdare, nel segno della sostenibilità e della giustizia sociale, avrebbe bisogno di una agricoltura protagonista perché dal rafforzamento del comparto primario dipende la bellezza e la salvaguardia dei nostri territori, la qualità della vita delle aree interne e il cibo pulito e di qualità che portiamo nelle nostre tavole.
Per questo lo sfruttamento e le morti sono la negazione di qualsiasi progresso e continuare nella logica delle mancette propagandistiche porterà il Paese in un vicolo cieco.