Città 30 e biciclette? Altro che decrescita!

di Andrea Burzacchini

“Ah certo! Volete la città 30 perché non avete niente da fare!”. “Vorrei vedere se doveste andare a lavorare tutti i giorni!”. “Se non usate l’auto è perché potete permettervi di perdere tempo!”. “Volete proprio tornare al passato, quando si andava a cavallo e si stava in casa a lume di candela!”. E via dicendo.

Sono solo alcune delle accuse che vengono rivolte a chi propone soluzioni per una svolta sostenibile della mobilità. Secondo una vulgata ancora molto diffusa in Italia – chi si batte o chi lavora per la città 30 e per una svolta della mobilità urbana, ha sì a cuore la lotta al cambiamento climatico, la riduzione delle emissioni inquinanti, un minor numero di morti e feriti nelle strade, una città meno rumorosa (tutte cosette, no?), ma ostacola gli obiettivi della crescita economica, che invece richiedono (richiederebbero) maggior velocità, maggior libertà nell’uso dell’automobile, meno restrizioni, parcheggi davanti ai negozi, strade più larghe, eccetera. Nelle discussioni sui social mobilità sostenibile e città 30 sarebbero inevitabilmente simbolo di ozio, lentezza, ritorno al passato, atteggiamento “radical chic”, noia (giuro che l’ho sentito: la città 30 è noiosa), decrescita felice.

Chissà? Che sia veramente così? Andiamo a vedere qualche dato

Parto ovviamente da Friburgo, la mia città. Freiburg Green City, la prima città europea a chiudere il centro storico alle auto già negli anni ‘70, la città che da quasi 30 anni ha proibito la costruzione di centri commerciali all’esterno dei quartieri residenziali, la città che da oltre quindici anni ha pochissime strade con il limite dei 50, che ha interrotto il traffico automobilistico sul giro dei viali e che da oltre vent’anni porta le biciclette in carreggiata. 185.000 abitanti nel 1987 (come Modena, circa, nel 1987, l’anno in cui ho iniziato l’università); 200.000 abitanti nel 1996; 215.000 nel 2005; 225.000 nel 2015; 233.000 adesso. L’età media nello stesso periodo è diminuita: con 39 anni è la città più giovane della Germania. Si trasferiscono a Friburgo giovani coppie con figli. Nel frattempo, Modena, la città in cui sono nato, ha esattamente gli stessi abitanti del 1988: 185.000. E la popolazione invecchia; il sindaco parla di inverno demografico.

Passiamo a Mainz, città in un’area più densamente popolata, a vocazione amministrativa ed industriale, ma altrettanto decisa (soprattutto negli ultimi anni) a ridurre il traffico automobilistico con scelte radicali: 180.000 abitanti nel 1990; 200.000 nel 2010; 220.000 abitanti adesso.

E al di fuori della Germania? In Francia una città nota per queste scelte è Rennes, con un’eccezionale rete di trasporto pubblico e forti disincentivi all’uso dell’auto privata: 195.000 abitanti nel 1995, 225.000 adesso. In Olanda una città con scelte radicali sulla mobilità sostenibile è Utrecht: 255.000 abitanti a inizio secolo, conta ora 367.000 abitanti; avete letto bene.

Attenzione: le persone si trasferiscono in queste città non solo per la qualità della vita, ma anche perché si trova lavoro!

Quali conclusioni si possono quindi trarre? Forse che è proprio lo sviluppo tardo novecentesco, basato sull’auto privata, il parcheggio davanti al negozio ed il centro commerciale ad essere antiquato, lento, noioso, poco attrattivo; non solo questo tipo di città sembra essere respingente (no, la gente non vuole crescere i propri figli in un ambiente inquinato), ma sembra creare anche pochi posti di lavoro, poche opportunità.

Sui social gira una bufala, purtroppo riportata anche da tanti ambientalisti, secondo cui un non meglio identificato “CEO della Euro Exim Bank Ltd” avrebbe detto che un ciclista è una catastrofe per l’economia perché non fa benzina, non deve assicurarsi, e via di questo passo, alimentando involontariamente gli stereotipi menzionati ad inizio articolo. Andatelo a dire alle centinaia di aziende legate all’economia della bicicletta, dal leasing al cargo. Decrescita? Catastrofe per l’economia?
Tutt’altro, evidentemente. La bicicletta e la mobilità sostenibile sono – come le altre forme di green economy – strumenti di creazione di posti di lavoro sicuri e attrattivi, dinamici e promettenti. Non è un caso che il Comune di Vignola, prima città della Provincia di Modena ad aver iniziato il percorso per diventare città 30 – e ad aver istituzionalizzato alcune strade scolastiche – ha intitolato il percorso in modo molto netto: Vignola Va Veloce.

C’è poi un secondo aspetto economico, incredibilmente poco considerato. Nelle città che fanno queste scelte, il numero di auto private per 100 abitanti si riduce inevitabilmente, diventando notevolmente inferiore alla media nazionale. Considerando che un’automobile costa dai 300 ai 500 euro al mese, tra acquisto, manutenzione, assicurazione, carburante, tasse, eccetera, nonostante sia un oggetto che rimane immobile in media per 23 ore al giorno (autoimmobile, altro che automobile!) si capisce bene come sia proprio il dover possedere un’automobile ad essere un freno per l’economia! Famiglie costrette ad avere due o tre automobili (vuoi per necessità, vuoi per le caratteristiche del territorio, vuoi per cultura) vedono questo denaro sottratto alla possibilità di spenderlo ed investirlo altrove: in formazione, svago, cultura, viaggi…Forse figli. Ecco perché, allora, sono le politiche di mobilità convenzionali, basate su auto privata e centro commerciale ad essere fautrici di decrescita.
Non molto felice, a dire il vero.