di Stefano Vaccari
Il 2023 ci lascia con la ventottesima edizione della Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite, COP 28 che si è svolta a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre.
Un’edizione iniziata con molte controversie a partire dalla scelta dello Stato ospitante e del suo Presidente, il Sultano Al Jaber, capo della compagnia petrolifera nazionale. Tenere una conferenza sul clima in uno Stato tra i primi esportatori al mondo di fonti fossili è sembrato davvero un controsenso. Ma ci sono state delle sorprese o comunque delle novità come la messa in atto del Loss and Damage, il fondo Perdite e Danni che era stato approvato durante la precedente COP 27 ma non era mai entrato in vigore.
E soprattutto la centralità delle rinnovabili: l’impegno verso l’uscita dai combustibili fossili è entrato nel documento finale del Global Stocktake, ma si è discusso molto sul phase down, riduzione, o phase out, eliminazione, uscita dai combustibili fossili, ed è prevalsa l’ultima opzione.
Le energie rinnovabili sono state tra le vincitrici di questa COP 28. Triplicare il loro utilizzo e duplicare l’efficienza energetica è l’impegno che ogni Stato partecipante ha preso per arrivare al 2050 alla neutralità carbonica o Net Zero. Anche il nucleare è tornato ad essere nominato nel documento finale di COP 28, seppure con un ruolo che resta marginale.
Una sfida enorme e quanto mai urgente. Sebbene non siano mancati forti contraddizioni e aspri contrasti, la COP 28 ha sicuramente raggiunto alcuni risultati storici a partire dal fatto che per la prima volta nel testo finale di una conferenza sul clima delle Nazioni Unite si fa esplicito riferimento ai combustibili fossili e alla necessità di “spostarsi” verso altre forme di produzione energetica.
Il tema degli impatti dell’agricoltura e dell’allevamento sull’insieme delle emissioni climalteranti sono stati ovviamente al centro della COP di Dubai, e le presenze dei lobbisti presenti nelle delegazioni nazionali, provenienti da alcune delle più grandi aziende agroalimentari del mondo, quasi il triplo del numero registrato alla Cop 27, testimoniano l’attenzione a questo ambito così come le contraddizioni che porta con sé.
In agricoltura, come per altri settori produttivi, sono infatti i Paesi del nord del mondo a procurare le emissioni e dunque i danni (stimati in 8 miliardi)che portano i cambiamenti climatici e quelli del sud del mondo a pagarne le maggiori conseguenze.
Di contro in continenti come l’Africa la produzione agricola laddove esistente è già sostenibile per l’80 per cento. Produzione di CO2, metano e ossido di azoto, deforestazione, uso dei pesticidi, accesso alla maggior quantità di proteine animali sono gli effetti sul territorio dei sistemi agricoli non avanzati, mentre nei Paesi in via di sviluppo la popolazione non ha accesso ad abbastanza proteine. Il tema centrale della COP28 doveva essere quindi il riequilibrio tra nord e sud del mondo, la COP doveva servire a questo.
Fino ad ora, tuttavia, l’Onu non si è misurata col problema fino in fondo indicando in dettaglio come il mondo potrà soddisfare i bisogni nutrizionali di una popolazione mondiale in crescita, che si prevede raggiungerà i 10 miliardi entro il 2050, e ridurre nello stesso tempo i gas serra globali e quindi la temperatura del pianeta.
Sicuramente poteva essere fatto di più, come a lungo hanno chiesto a gran forza in particolare i delegati europei, ma la risoluzione finale rimane comunque un primo passo verso un nuovo modo di pensare il futuro, i risultati e gli obiettivi verranno via via rivalutati nelle prossime Conferenze ONU sul Clima; la transizione energetica ottiene sicuramente una notevole spinta, e le principali aziende produttrici di energia non potranno far altro che rivedere i propri piani strategici alla luce dell’accordo preso.
Può apparire sorprendente che questi risultati si siano stati ottenuti proprio in una COP organizzata in un paese produttore di petrolio, ma forse era proprio questa l’unica possibilità di trovare un “compromesso” da molti ritenuto “storico”. In sostanza se anche la formulazione è in definitiva molto moderata è stata condivisa da 199 Paesi e dunque la mediazione è quantomeno necessaria. Il principio è comunque sancito. La politica ha deciso che il riscaldamento globale è priorità della politica. Non si vede come una COP, per le debolezze che le sono proprie, sarebbe potuta andare oltre.
Ora sta a noi, a ogni singolo Paese e all’Europa Unita fare di più e rispettare gli impegni indicando la rotta del massimo rigore proprio sulla salvaguardia di ciò che di più prezioso abbiamo, l’ambiente e con esso il cibo e l’acqua. Al nostro governo che non si è dimostrato abbastanza protagonista chiediamo di fare di più e meglio, chiediamo rigore e attenzione a come e dove spendiamo i soldi anche a partire dalla manovra di bilancio, su cui stiamo lavorando e su cui vigileremo.