di Leonardo Impegno e Roberta Baiano
Movendosi nell’ambito del Green Deal, l’Unione Europea si è impegnata proprio in questi giorni a trasformare il settore dell’edilizia in un ambiente a emissioni zero entro il 2050 con la ratifica della cosiddetta Direttiva “Case Green”.
Questo provvedimento prevede il divieto dell’utilizzo di caldaie a combustibili fossili entro il 2040, da sostituirsi con pompe di calore e sistemi ibridi; l’obbligatorietà dell’installazione di pannelli solari sui nuovi edifici residenziali a partire dal 2030 e su quelli pubblici dal 2028; l’adozione di materiali da costruzione più eco-sostenibili; e l’introduzione del “passaporto di ristrutturazione”, un documento digitale utile a pianificare gli interventi di ristrutturazione.
A differenza di una versione precedente è stato, inoltre, eliminato il divieto assoluto di vendere o affittare tutti quegli edifici che non rispettano le nuove direttive.
Quindi una Direttiva giusta, utile ed equilibrata. Certo si tratterà di fare sacrifici, riorganizzare il settore edilizio, adeguare le norme che regolano gli interventi sugli edifici pubblici e in particolare sulle case popolari, insomma bisognerà semplificare, accelerare e controllare. Bisognerà, quindi, evitare che l’Europa possa commettere gli stessi errori che l’Italia ha commesso sul 110%.
Ma è una decisione frutto di un capriccio ideologico e antieconomico come sostengono le destre?
Un solo dato: allo stato attuale gli edifici sono responsabili del 40% del consumo energetico e del 36% delle emissioni di gas serra in tutto il territorio europeo. Quindi il voto contrario può essere motivato solo se si ha un “retropensiero ideologico” e cioè che il cambiamento climatico è una sciocchezza, nonché un forte legame-sintonia con i produttori di energia fossile.
La direttiva di cui stiamo parlando, però, è stata approvata non senza difficoltà, ottenendo 370 voti favorevoli, 199 contrari e 46 astenuti, con solo 20 paesi su 27 che hanno partecipato al voto. Si è rischiato, dunque, di raggiungere la soglia minima del 35% della popolazione, necessaria per bloccare il prosieguo delle deliberazioni non arrivando a garantire la maggioranza qualificata.
Tra gli astenuti figurano la Repubblica Ceca, la Croazia, la Polonia, la Slovacchia e la Svezia, mentre tra i contrari ci sono l’Italia e l’Ungheria.
Poco sorprendentemente, alcuni rappresentanti italiani hanno, infatti, votato contro il provvedimento: Forza Italia, sebbene in contrasto con il Partito Popolare Europeo di cui fa parte; la Lega, nonostante uno dei suoi eurodeputati abbia partecipato attivante ai negoziati per le modifiche addirittura esultando per i risultati raggiunti; e Calenda, in disaccordo con il gruppo liberale Renew Europe al quale è affiliato. Che spettacolo. Siamo pur sempre la patria del varietà.
Per fortuna hanno votato a favore il Partito Democratico, il Movimento 5 Stelle e Italia Viva.
Infine, le motivazioni, se pur serie e meritevoli di riflessione, del Ministro Giorgetti: “ottima iniziativa, ma dove si prendono i soldi”; detta però da un esponente di un partito (la Lega) che non si è mai posto il tema della fattibilità e sostenibilità delle sue proposte in campagna elettorale rende ancora più amara da digerire la decisione assunta dal nostro Paese.