di Silvio Lai
Partiamo dalla scelta di inserire il principio di insularità in Costituzione e chiediamoci cosa significa concretamente l’attuazione di questo principio. Cosa differenzia l’abitare in un’isola e in un’isola con pochi abitanti rispetto ad un luogo connesso stabilmente? A cosa si riducono in sintesi costi e svantaggi?
In sintesi i costi dell’insularità derivano in gran parte da un diritto alla mobilità dei residenti e alla connessione dell’isola con il resto del territorio di cui fa parte che determinano una compressione delle potenzialità economiche e di mercato.
Partiamo da questo secondo punto, gli svantaggi di un’isola rispetto alla dimensione economica e sociale sono legati alla dimensione della sua popolazione, del suo essere un mercato potenziale più o meno interessante, e dalla distanza con mercati più grandi, ovvero dalla possibilità che i costi di trasporto o connessione non incidano sul costo di produzione e vendita dei prodotti. Essere un’isola da 60 milioni di abitanti come l’Inghilterra è diverso dall’essere un’isola da 1,5 milioni di abitanti come la Sardegna.
Essere un piccolo mercato comporta un nanismo delle imprese che nascono e operano, salvo che non siano produttori di servizi immateriali. Se è vero che la necessità stimola l’ingegno non è un caso che internet in Italia e in Europa sia nata in Sardegna con Videonline di Niki Grauso, un’intuizione nata dalla coscienza di essere isolati e dall’anelito di connessione, oltre che dall’intuizione come quella di portare Carlo Rubbia a dirigere il centro di ricerca pubblico della Regione, come ci insegna oggi Mariana Mazzucato, quando ci ricorda che le innovazioni dell’iPhone sono figlie degli investimenti pubblici nella ricerca. Ma anche questa importante eccezione arriva poi a confrontarsi con i limiti della dimensione del mercato, anche delle risorse umane, di una piccola isola e per crescere deve uscire dai confini geografici.
Se sono chiari i limiti che l’essere isola genera nel sistema economico e sociale, anche per come la globalizzazione ha generato il cambiamento delle relazioni e delle produzioni locali, il diritto a permanere in un’isola si confronta con un diritto più alto: quello individuale della libertà di muoversi per un cittadino che risiede in un’isola quanto quello di un residente ma appartenente alla stessa comunità statuale di un diritto all’accesso non garantito.
In questi ultimi anni, con l’aumento della mobilità aerea tramite le low cost e il contemporaneo arretramento delle compagnie di bandiera, abbiamo assistito ad un crescente meccanismo speculativo sui voli aerei per le isole italiane, Sicilia e Sardegna, con punte di costo dei biglietti superiori ai costi di un volo intercontinentale. Una condizione che ha superato sia i controlli nazionali da parte dell’autorità garante della concorrenza sia quelli europei perché proprio sulla concorrenza e sulla libertà di circolazione delle merci e delle persone si è basata ogni politica europea degli ultimi 30 anni, dal Trattato di Lisbona in poi, garantire che le imprese europee non possano essere protette dagli stati membri una rispetto all’altra è il punto di partenza da cui poi deriva ogni atto. Basta vedere con queste lenti la vicenda Ita-Lufthansa per riconoscere il percorso.
Solo in occasione di potenziali fallimenti di mercato la Commissione Europea consente delle eccezioni, come per le regioni ultraperiferiche o quando è dimostrabile come nel caso della connessione tra Sardegna e resto d’Italia, che il mercato non sia sufficiente a garantire un diritto. Nel caso della Sardegna infatti, viaggiare in periodi di scarsa domanda può essere difficile o impossibile perché le compagnie aeree hanno poco interesse a offrite coli che in quei mesi sono poco remunerativi (le compagnie low cost esaltano infatti le loro summer per la quantità di voli offerti ma sono per niente generose nella winter). E anche quanto la domanda di viaggiare è alta le compagnie aeree rendono la possibilità di viaggiare selezionata per censo, alzando i prezzi piuttosto che la quantità di posti disponibili. Tutto questo perché non esiste una pressione competitiva di mercato o un’alterativa reale di trasporto (via gomma o via ferro).
Per limitare i danni che questi meccanismi provocano al diritto alla mobilità la Commissione europea ha
concesso la possibilità di sottrarre alcune rotte al mercato e concederle in esclusiva ad una sola compagnia in cambio di una copertura economica pubblica, applicando quelli che si chiamano oneri di servizio.
Nei primi anni di applicazione, siamo alla fine degli anni 90, con un mercato dei voli ancora ridotto, la continuità territoriale con gli oneri di servizio ha funzionato ma ora siamo al caos, come se questa non ci fosse ed alcune responsabilità stanno in capo alla Commissione Europea.
LA CT sottrae alcune rotte strategiche al mercato, dagli aereoporti sardi a Milano Linate e Roma Fiumicino, e le assegna a quelle compagnie che accettano frequenze e orari e prezzi massimi per i passeggeri, ma (secondo la Commissione) solo per i residenti, in cambio di un monopolio su quelle rotte.
Secondo la Commissione Europea le tariffe per i non residenti deve determinarle il libero mercato, ma questo vale quando esiste una concorrenza alto, che sulle isole non c’è. Peraltro in rotte che ottieni in esclusiva puoi imporre le tariffe che vuoi senza temere la concorrenza di altri soggetti: per garantire il mercato si impone un monopolio senza vincoli. Alla base di questo approccio un documento del 2017 intitolato “Orientamenti interpretativi relativi al regolamento (CE) n. 1008/2008” che al punto 49 conferma che in casi come quelli insulari si possono prevedere tariffe di favore per consentire ai residenti “di partecipare alla vita culturale, economica e sociale del proprio Stato membro”, e che “è possibile fissare altri obblighi relativi ai prezzi purché siano non discriminatori e proporzionali…”. Questo punto per i funzionari (si, funzionari) UE va interpretato come la possibilità di imporre massimali tariffari solo per i residenti, come se si possa partecipare alla vita sociale, economica e culturale del Paese solo uscendo dall’isola e non sull’isola, da parte di Italiani non residenti.
Inoltre Il divieto di vincolare le tariffe per i non residenti è imposto in nome dei principi dell’economia di mercato ma in realtà li viola platealmente perché è la stessa necessità di imposizione degli oneri di servizio che dimostra il fallimento della libera concorrenza e dei vantaggi ad essa associati.
Se la circolazione in Sardegna non può essere garantita dal libero mercato ed è necessaria l’imposizione degli oneri di pubblico servizio, impedire agli italiani non residenti di accedervi a costi analoghi a quelli che pagherebbero per un viaggio in treno della stessa distanza (vedi cosa succede sul Roma-Milano dove il treno ha sostituito il volo aereo in termini di costi e vantaggi) non solo lede il diritto di libera circolazione nel territorio statale ma anche il diritto dell’isola che viene condizionata nella dimensione del suo sviluppo economico e sociale: basta solo pensare al costo aggiuntivo per il turismo per comprenderlo.
Non solo gli oneri di servizio senza vicoli per le tariffe per i non residenti ledono la Sardegna ma non rispettano il principio di libero mercato creando un abuso di posizione dominante da parte della compagnia che vince il bando.
La soluzione dunque è in capo ad un Governo che su queste regole (o interpretazioni pro low cost) infarcite di principi di concorrenza che non sono neanche in grado di garantire il mercato deve intervenire con la prossima commissione Europea per modificarle. SI tratta di un altro terreno di possibile cambiamento del giudizio degli Europei sull’Europa che vale la pena percorrere per evitare che populismi e nazionalismi prevalgano in nome del “si stava meglio prima”