Il malessere dei minori detenuti aggravato dal Decreto Caivano

di Anna Rosa Cianci, referente tavolo Diritti umani, pace e migrazione

La criminalità minorile è purtroppo uno dei fenomeni sociali in crescita in Italia e rientra fra le problematiche che destano maggiore preoccupazione. Ne consegue che essa va combattuta da un lato con strumenti coercitivi come la sanzione penale e la detenzione, il cosiddetto “castigo dello Stato” e dall’altro, parallelamente, con la prevenzione, il recupero e la rieducazione.

Per questo, la pena non può ridursi a una mera repressione delle manifestazioni di devianza minorile, ma è doveroso dare ascolto, approfondire il fenomeno e pensare a una forma di riabilitazione a più ampio respiro per i minori detenuti, nel doveroso rispetto del dettato previsto nell’art.27 della Costituzione, comma II (Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato). Bisogna tenere sempre ben presente che i giovani, anche devianti e vittime del disagio sociale, sono il futuro della nostra società.

Il concetto legale di “minore di età” è relativamente nuovo, così come quello di “infanzia”. Infatti, grazie a Marx, a Freud e alla dottrina sociale della Chiesa che alla fine dell’800, si affermò nell’Occidente la consapevolezza della particolare condizione di bambino. Così nello stesso periodo storico, nel mondo anglosassone, la giurisdizione penale cominciò ad essere consapevole che il trattamento dei più giovani non poteva equipararsi a quello degli adulti. La prima Corte penale per minorenni, infatti, nacque in Illinois nel 1899.

Con la teoria dei diritti umani, la diversificazione di trattamento raggiunge una portata internazionale fino all’approvazione delle Regole di Pechino1adottate dall’ONU il 29 novembre 1985, riguardanti le regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile, non vincolanti, ma comunque molto importanti perché aprirono a una svolta culturale. I principi espressi in questa risoluzione hanno dato forza vincolante alla Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo del 1989. La tutela dei minori e i loro diritti legali di protezione, assistenza e partecipazione sono il modo migliore per favorire il loro benessere, soprattutto per coloro che provengono da ambienti a rischio.

È noto come il disagio giovanile, la devianza minorile e la povertà educativa siano strettamente connessi tra loro. Un ambiente deprivato è terreno fertile per intraprendere la strada dell’illegalità. Quindi, diventano di fondamentale importanza interventi legislativi e sociali che vedano necessaria una risposta fattiva ai bisogni del minore reo e alla promozione del suo recupero. Necessari diventano i percorsi personalizzati e la flessibilità dell’intervento punitivo rispetto al suo stato e al suo vissuto.

La detenzione non deve ridursi in una mera applicazione della misura penale, ma deve tendere alla responsabilizzazione dell’adolescente o del giovane adulto al fine di comprendere l’errore di aver commesso un reato; creare un efficace e positivo reinserimento nella comunità di appartenenza in qualità di cittadino attivo e consapevole; attivare forme di giustizia riparativa e rigenerativa. La detenzione deve essere l’ultima ratio. Invece, contro il fenomeno delinquenziale dei minori, il 15 settembre 2023, è arrivato dall’attuale Governo il decreto n.123, meglio conosciuto come “decreto Caivano”, che mira a reprimere il disagio giovanile, la povertà educativa, la criminalità minorile e a tutelare la sicurezza in ambito digitale con provvedimenti meramente coercitivi. Il risultato è stato il considerevole aumento dei minori detenuti con una misura cautelare e senza sentenza. Nel 2023 gli ingressi sono stati 1143 e sono aumentati anche nel corso di questo anno: è la cifra più alta di questi ultimi quindici anni, come spiega l’Associazione Antigone nel rapporto “Prospettive minori”. Tra loro, molti sono accusati di aver violato il testo unico sugli stupefacenti e sono tossicodipendenti. Ciò ha portato a un sovraffollamento degli istituti penitenziari minorili dove sovente i giovanissimi detenuti vengono gestiti con psicofarmaci come nei centri di permanenza per il rimpatrio. Così per la prima volta il sistema della giustizia minorile in Italia sta andando in crisi. Prima era considerato un modello giuridico e pedagogico per la capacità di saper accompagnare i minori rei in un percorso di rieducazione sociale, grazie anche alla diffusione di comunità dedicate che garantiscono il recupero e la non recidiva. Il decreto Caivano ha invece invertito la rotta, inaugurando la politica involutiva del “punire per educare”, ben sapendo che il carcere fine a se stesso non recupera. In Italia gli istituti penali per minorenni sono diciassette e circa il 50% dei detenuti è di origine straniera. L’istituto di pena per minorenni più affollato è il Cesare Beccaria di Milano che presenta preoccupanti criticità. La maggioranza dei ragazzi è in custodia cautelare. I minori detenuti provengono quasi tutti da contesti molto difficili, collocati, a loro volta, in ambienti a rischio, legati allo spaccio, alla tossicodipendenza e/o all’alcolismo, ad azioni criminali e dove maturano gravi forme di violenza assistita o subita.

Nello scorso mese di aprile, tredici agenti di polizia penitenziaria sono stati arrestati con l’accusa di aver commesso violenze e maltrattamenti sui detenuti minori del Beccaria. Dodici erano ancora in servizio presso il carcere. All’interno del carcere ci sarebbe stato un sistema consolidato di violenze reiterate, vessazioni, abusi psicologici, punizioni corporali, umiliazioni e pestaggi di gruppo. Il carcere minorile di Milano continua a essere al centro delle cronache per le numerose proteste scoppiate quest’estate: materassi dati alle fiamme, evasioni e tentativi di fughe, scontri con gli agenti. C’è un diffuso malessere nelle carceri italiane e un tasso di preoccupante di suicidi. Al Beccaria i detenuti vivono un profondo senso di vuoto; per la maggior parte sono stranieri non accompagnati con un forte stato di frustrazione e di malessere psicofisico per un progetto migratorio fallimentare. Essi sentono di aver deluso la famiglia per quel mandato mancato di trovare lavoro in Europa. Per il cappellano Don Claudio Burgo questi ragazzi sono reclusi per reati contro il patrimonio o di sopravvivenza e all’improvviso si ritrovano chiusi in cella. Il dolore dell’anima, placato con le sostanze stupefacenti fuori, viene compensato con gli psicofarmaci dentro. Viceversa, serve dialogo, attenzione, non solo mediazione ma anche presenza di persone che conoscano e vivano la loro stessa cultura di origine. La recrudescenza delle pene non ha nessuna deterrenza; la carcerazione preventiva è disumana, non serve a nulla, anzi essa diventa motivo di ribellione e le carceri una sorta di scuola per delinquere.

Le misure da introdurre sono decisamente più complesse: servono programmi rieducativi personalizzati per ogni singolo giovane detenuto. La direttiva 2016/800/UE sulle garanzie procedurali per i minori ha sancito dei capisaldi ai quali nessun Stato membro può disattendere: 1) l’irrinunciabilità del diritto all’aiuto legale per la difesa di un minore; 2) l’ultima ratio della privazione della libertà del minore; 3) la detenzione del minore separata dagli adulti; 4) il diritto del minore a essere accompagnato dal titolare della responsabilità genitoriale o da altro adulto idoneo in ogni fase del procedimento; 5) il diritto alla tutela della sua privacy 6) la formazione specifica per tutti i professionisti coinvolti nell’amministrazione della giustizia minorile.

La relatrice della direttiva fu l’eurodeputata italiana Caterina Chinnici che, a seguito dell’approvazione della normativa comunitaria, dichiarò: “Il risultato ottenuto a livello europeo rispecchiava in modo significativo l’esperienza italiana in questo campo.” In Italia, già la legislazione, con il d.p.r. n.448/1988, in tema di processo minorile, aveva sancito la garanzia di diversi diritti, i cui principi ispiratori sono stati quelli di adeguatezza, di minima offensività, di de-stigmatizzazione e di residualità della detenzione. Con il Governo Meloni il superiore interesse del minore, in considerazione della sua personalità ancora in evoluzione, sembra non essere assolutamente considerato. Certamente la risposta più semplice al disagio sociale è la repressione ma è anche la più inadeguata e inefficace. L’azione punitiva va a discapito dell’approccio educativo e di recupero, ponendosi in contrasto con le basi culturali di un modello di recupero che ha dato prova in Italia di funzionare bene.

Il decreto Caivano è una risposta del tutto irrazionale che nasce sulla base di allarmi generati da alcuni fatti di cronaca che hanno inciso fortemente sulla emotività dei cittadini. Invece di puntare con maggiore decisione nella direzione dimostratasi vincente, cioè quella del recupero e del reinserimento positivo nel contesto socioculturale, si torna indietro nel tempo con una pericolosa omologazione degli strumenti penali destinati ai minori con quelli destinati agli adulti. Si tende così a ritornare a una società adultocentrica che vede i minori con diffidenza e sospetto, nei confronti dei quali solo la coercizione diventa erroneamente il deterrente più efficace al delinquere. Sarebbe opportuno invece cercare soluzioni diverse per reagire alla violazione delle regole della società, che non richiedano necessariamente la custodia cautelare, sempre traumatica e dolorosa per il giovane e che al tempo stesso non gravi gli Ipm di situazioni di difficile gestione. La presa a carico dalla comunità di accoglienza dei minori rei e la loro messa alla prova in una rete territoriale sono la soluzione più efficace per un percorso di trasformazione personale e collettiva dove la dignità umana non viene cancellata.

1 “Regole minime sull’amministrazione della giustizia dei minori” (chiamate Regole di Pechino)