di Stefania Gasparini
Da diversi anni ci si interroga su come analizzare i territori e le vite di una comunità cercando di andare oltre il semplice dato economico.
Questo e’ un passaggio fondamentale da farsi per chi ha a cuore lo sviluppo di una politica vicino alla realtà delle vita delle persone e quindi si voglia concentrare sullo sviluppo di politiche territoriali e nazionali che sappiano vedere i territori in controluce, analizzandone il presente per incidere sul futuro.
Per aiutare in questo Istat ha sviluppato un insieme di indicatori per misurare il benessere equo e sostenibile (BES) e, dal 2017 con i governi a guida PD, alcuni indicatori BES sono entrati nell’analisi del DEF.
Successivamente sono nati i BesT, ossia l’analisi dei BES nei territori, suddividendo gli indicatori per regione, province e città metropolitane.
L’analisi di questi dati e’ essenziale per capire il senso reale delle disuguaglianze in Italia e di come il principio cardine per il benessere di una economia, ovvero la redistribuzione di reddito, servizi e diritti di ogni cittadino sia ad oggi ancora lontana.
Non solo in termini di divario Nord Sud, ma anche all’interno delle stesse regioni. Allo stesso tempo l’analisi di questi indicatori ci aiuta a capire non solo i punti di debolezza dei territori, ma anche i punti di forza.
Un elemento che purtroppo questi dati ci fanno notare immediatamente e’ quello che ancora oggi in Italia il luogo dove nasci incide profondamente sul futuro delle persone in termini di qualità della vita. Infatti i divari territoriali rilevati sul benessere complessivo della vita sono ancora importanti e legati alla geografia sociale ed economica del paese.
Nell’analisi dei BesT 2022 si evince che i 44,7% delle province si colloca nelle classi medio alte e alte di benessere relativo e il 34,9% nelle fasce medio basse. Un dato di disparità ancora troppo elevato e che ci deve fare riflettere.
Una riflessione che non può essere disgiunta, ad esempio, alle sorti del progetto di autonomia differenziata che il governo Meloni sta sciaguratamente portando avanti, infischiandosene dei dati reali di vita delle persone.
Infatti dal Rapporto BesT presentato nei giorni scorsi si evince che il divario Nord Sud nel nostro paese e’ ancora fortemente determinante sulla qualità della vita dei cittadini, cosi come su alcuni indicatori, come Ambiente e qualità dei servizi, giochino un ruolo importante anche forti contrapposizioni all’interno delle stesse regioni e non sempre il divario Nord Sud e’ quello prevalente.
Una importante riflessione che scaturisce dai dati e’ quella sugli indicatori prevalenti che compongono l’analisi complessiva del benessere per le persone: nelle 10 regioni che hanno i livelli di benessere più alti gli indicatori con il valore più alto sono lavoro e conciliazione dei tempi di vita, istruzione e formazione, innovazione, ricerca e creatività e relazioni sociali.
Cosi come per alcuni indicatori quali ambiente, qualità dei servizi e del paesaggio e patrimonio culturale le differenze territoriali Nord Sud giocano un ruolo inverso
Nel complesso l’insieme della lettura di questi dati ci deve imporre una riflessione complessa sullo stato del benessere dei nostri territori.
Una riflessione che sappia andare oltre alla semplificazione geografica Nord Sud, ma che ragioni di aree interne, di demografia, di urbanizzazione.
Una visione complessa e complessiva che deve sapere andare oltre le frasi fatte e i pregiudizi, per saper portare ogni territorio, con le sue peculiarità, verso una un progetto di uguaglianza sociale e redistribuzione. Un progetto che sappia tenere insieme lavoro, sviluppo e ambiente. Qualità della vita e presenza di servizi pubblici. Formazione, sviluppo delle competenze e creatività.
Questo impone una riflessione sul ruolo della pubblica amministrazione, che sempre più deve riuscire a far coincidere i propri obiettivi con quelli della vita dei cittadini attraverso un cambio di mentalità e paradigma.
Il superamento dei divari citati, infatti, non può che passare da una nuova funzione del sistema pubblico nel suo complesso. Senza lo sviluppo di adeguati servizi pubblici, infatti, al singolo cittadino non rimarrà che il potersi rivolgere al privato a seconda delle proprie capacità, ma questo non farà altro che aumentare i divari anziché ridurli.
Questo vale per la sanità, ma anche la scuola, per il trasporto, per i servizi sociali, per tutte le aree che incidono fortemente su quegli indicatori che abbiamo fin qui analizzato.
Per questo il progetto di autonomia differenziata portato avanti da questo governo in realtà, come nel Gattopardo, tutto cambia per nulla cambiare. Perché ogni territorio, ogni cittadino di quel territorio non sara’ aiutato maggiormente, ma se ad oggi e’ solo continuerà a rimanere tale o forse peggio ancora.
La controproposta da mettere in campo e’ invece quella dello sviluppo di una pubblica amministrazione statale e locale che sappia fare analisi di questi dati sulle disuguaglianze nel nostro paese e su quelli cominci non solo ad investire, ma ad agire una rivoluzione copernicana innovativa, con politiche di redistribuzione, avendo ben chiaro che l’obiettivo è ridurre le disuguaglianze, non aumentarle e non solo per un principio sacrosanto di giustizia sociale. Ma perché se aumentano i livelli di benessere dei singoli, aumenterà anche quello della propria comunità e del paese tutto. E questo deve essere l’obiettivo di chi ha davvero a cuore il paese.