49 anni fa la strage di Flobert. Sulla sicurezza nei luoghi di lavoro nulla o quasi è cambiato

di Toni Mira

Una terrificante esplosione, 12 lavoratori morti dilaniati. Quasi mezzo secolo fa, esattamente 49 anni, l’11 aprile 1975 alle 13,25 a Sant’Anastasia, sulle pendici del Monte Somma nel Vesuvianoo. Quasi la stessa data del disastro alla diga di Suviana. Nulla o quasi è cambiato.

Allora fu la strage della Flobert, fabbrica di armi giocattolo che poi tanto giocattoli non erano. Fabbrica irregolare, con lavorazioni non autorizzate, lavoratori in nero, messi a riempire di polvere esplosiva 200mila proiettili di plastica. Giovanissimi, i morti quasi tutti ventenni. Corpi in pezzi, scagliati a centinaia di metri di distanza. Un unico superstite Ciro Liguoro, che da allora porta ovunque, soprattutto nelle scuole, il suo ricordo per tenere viva la Memoria e diffondere la cultura del lavoro sicuro nelle future generazioni.

“Eravamo felici di quel lavoro, finalmente, eravamo giovani, anche se era in nero, e non capivamo i rischi. Ma ancora oggi ci tocca denunciare la mancanza di sicurezza”. Parole che ricordano quella del servizio del giornalista Rai, Luigi Necco, firma storica della sede di Napoli. “Erano stati assunti appena due settimane fa: non erano più contadini, non erano ancora operai. Per sfuggire alla disoccupazione e alla miseria, avevano accettato un compromesso con la morte lavorando in uno stabilimento che nonostante leggi e regolamenti si è dimostrato insicuro”. Più tardi raccontò. “Mi colpì il contrasto tra i frutteti tutt’intorno, verdeggianti perché era l’inizio della primavera, e le rovine bruciate della fabbrica. Era come se un’astronave si fosse schiantata sulla terra. I familiari degli operai non gridavano: erano impietriti. Della fabbrica non c’era più niente: né un tavolo, né un banco, né un attrezzo: tutto polverizzato. Brandelli di corpi erano sparsi qua e là. Quello fu il primo dolore collettivo della nostra gente. Cinque anni dopo sarebbe avvenuto il terremoto”. Sembrano le parole dei cronisti di questi giorni, degli stessi soccorritori. Perché ogni strage sul lavoro è uguale. Stessa devastazione umana, stesso dolore. Le giovani vittime sono sepolte tutte insieme nel cimitero di Sant’Anastasia, dove le ricorda una lapide. “Pagarono con la vita il pane. La pietà del popolo li volle qui riuniti”. Pane macchiato di sangue, come per tutte le morti sul lavoro. Una drammatica storia che resta nella memoria anche grazie a due canzoni. ‘A Flobert, di ‘E Zezi, gruppo musicale operaio di Pomigliano d’Arco, canzone struggente e di denuncia, composta pochi mesi dopo la strage, e della quale esiste una stupenda versione con Dario Fo e Enzo Gragnaniello. Le parole di una madre. “’O figlio mio addò stà, aiutateme a cercà, facitelo pe pietà pe fforza ccà adda stà”. E poi parole di accusa. “E chi va a faticà pur’ a morte addà affruntà, murimm’ a uno a uno p’e colpa ‘e sti padrune”. Parole attualissime come quelle di ‘O padrone di Pino Daniele, contenuta nel suo primo album Terra mia del 1977, quello con le famosissime Napule è e ‘Na tazzulella ‘e café. Una canzone forte, molto politica e polemica. “‘O padrone nun va’ dduje sorde. Dice sempe ‘e faticà. E nuje ce magnammo ‘o limone Pe dduje sorde ca ce dà. ‘O padrone oggi è venuto Nce vuleva pe’ parlà: “Stateve accuorte, cca zompa tutte cose”. E ‘na botta c’ha cugliuto lla”. La botta, l’esplosione di 49 anni fa, in una fabbrica di “giocattoli” che si portò via la vita di 12 giovani lavoratori. “Il padrone ci aveva chiamato negli uffici pochi giorni prima per dirci che avevamo il posto di lavoro, eravamo tutti giovani e contenti. Però, ci disse, c’è una cosa – racconta ancora Liguori – una cosa da niente, disse. Dovete costruire dei proiettili per le pistole Flobert. Però ci assicurò che non c’era nessun problema”. Non ci sono mai problemi. Prima. Anche i sopravvissuti all’esplosione alla diga lo hanno detto. Scoprirli dopo non è mai facile. E alla fine non paga quasi mai nessuno. Sempre che una vita possa essere pagata. Una vita strappata lavorando. Dodici 49 anni fa, 7 oggi. Un oggi che drammaticamente è uguale ad allora.