Affrontare le complessità affinché nessuno rimanga indietro

di Stefania Gasparini

I dati che ISTAT ci consegna nei propri rapporti annuali sono importanti non solo perché mettono di fronte agli occhi dell’opinione pubblica la fotografia dello stato di salute del nostro paese, delle famiglie e delle persone, ma perché dovrebbero essere uno dei cardini su cui fondare le politiche di benessere complessive per far si che le persone possano affrontare il proprio futuro.

Da questo punto di vista il termine che contraddistingue il rapporto Istat annuale 2024 e’ ‘complessità’.

I 4 capitoli del rapporto infatti ci consegnano un paese alle prese con le sfide della contemporaneità globale, in un processo ininterrotto di cambiamenti che si somma alle debolezze strutturali storiche che ognuno di noi conosce perché le incontra nella propria quotidianità.

Quello che emerge è che ogni cambiamento, ogni transizione si intreccia l’una con l’altra e che l’unica strada per poterle affrontare e quello di attuare politiche pubbliche che tengano conto di questo ‘ecosistema delle complessità’

Ogni cambiamento in economia comporterà un nuovo mondo lavorativo che inevitabilmente porta mutazioni nelle dinamiche economiche famigliari, ogni divario territoriale inciderà in quella che viene chiamata transizione demografica, che a sua volta determinerà una ricomposizione di esigenze e servizi.

D’altronde questo filo rosso che lega le diverse complessità è lo stesso che ognuno di noi vive quotidianamente sulla propria pelle, ma pare evidente dalle politiche messe in campo dal Governo che non sia cosi per Giorgia Meloni e i suoi ministri che rifiutano di vedere le mutazioni e le difficolta quotidiane delle persone.

Uno dei primi nodi che legano i vari aspetti presentati dal rapporto è quello dei cambiamenti del mondo economico che incidono inesorabilmente in quello lavorativo e di conseguenza sul benessere delle famiglie.

L’economia italiana sta vivendo diverse transizioni e cambiamenti sia all’interno del comparto manifatturiero sia in quello dei servizi, ma in entrambi i casi ha la meglio chi riesce a governare e non subire i cambiamenti digitali e produttivi innovando e investendo in competenze, qualità e formazione.

Questo inevitabilmente incide anche sui lavoratori che laddove hanno un tasso di istruzione e specializzazione più alto resistono a quella che viene definita ‘vulnerabilità economica’.

Questi mutamenti avvengono in un contesto di dati positivi per il mercato del lavoro, dati che però al proprio interno vedono mutamenti che rischiano di diventare strutturali nel nostro mercato del lavoro e che spingono sempre più verso una divaricazione economica tra gruppi di famiglie e persone e per fasce d’età.

I dipendenti delle imprese private extra-agricole che nel 2022 si collocano nella fascia a bassa retribuzione annuale, ossia sotto una soglia pari al 60 per cento del valore mediano, sono 4,4 milioni (poco meno del 30 per cento del totale), con un’incidenza molto maggiore per i dipendenti con contratti non standard, soprattutto a termine e a tempo parziale.

Giovani, donne e stranieri sono gli individui che più si associano a criticità retributive.

Secondo i dati dell’Indagine sul reddito e le condizioni di vita (Eu-Silc) nel 2022 la quota di occupati a rischio povertà in Italia è all’ 11,5%. Nell’Ue è l’8,5% del totale.

Altro dato fondamentale da incrociare con quelli sulla redditività è quello che ci dice che tra i giovani tra i 15 e i 34 anni c’e stato un calo di oltre due milioni di occupati, un milione tra i 35 e i 49 anni e l’aumento di 4 milioni e mezzo di occupati over 50.

La complessità di questi numeri illumina un quadro preoccupante per il futuro di tutto il sistema paese e cioè che l’incremento della povertà riguarda principalmente le fasce di popolazione in età lavorativa con figli, comportando quindi diverse disparità e disuguaglianze: il divario sempre maggiore tra gruppi di famiglie in fascia alta e bassa, un divario generazionale e di genere sulla qualità e quantità del lavoro, una disparità dei sistemi socio economici territoriali che si lega ai conseguenti flussi di spopolamento e invecchiamento delle aree interne a favore di quelle metropolitane.

A tutto questo va aggiunto un calo demografico generale che ha visto una diminuzione delle fasce d’età più giovani del 22.9% dal 2022 ad oggi.

È evidente come di fronte a questo intrecciarsi di dati demografici, economici, sociali e di flussi territoriali non bastino le attuali politiche (o per meglio dire non politiche) del Governo.

Le domande complesse che il rapporto ci pone sono diverse: come in quadro del genere si può sostenere e migliorare il nostro stato sociale? Come sostenere le fasce più povere affinché non solo i singoli stiano meglio ma possano contribuire al benessere complessivo della comunità? Come evitare che la ricomposizione delle attività economiche abbia un effetto deleterio sui salari e sulla stabilità economica delle famiglie? Come fare in modo che i divari territoriali, non più solo Nord Sud, ma aree metropolitane contro aree interne, non mettano a rischio la tenuta dell’intero paese?

A nessuna di queste domande corrisponde una azione del Governo, che continua a riempirsi di belle parole: made in Italy, crescita demografica, lavoro per tutti, ma non ha mai avviato una politica strutturata per contrastare i fenomeni che invece rischiano di portare il paese all’esatto opposto delle loro parole.

Per questo Il Partito democratico ha invece messo in campo proposte che vanno al cuore dei problemi: il salario minimo per contrastare il lavoro povero, la proposta di legge Schlein sulla sanità per diminuire i divari economici e territoriali su un bene essenziale come quello della sanità pubblica, le proposte per una transizione ecologica equa che affronti il tema del cambiamento e della adeguata formazione per non lasciare indietro nessuno.

Questo è il momento storico per affrontare i problemi prima che diventino strutturali, questo è il momento per affrontare la complessità.