A casa tutto bene?

di Stefania Gasparini

A casa tutto bene? 

Nel dibattito politico troppo spesso si parla di famiglia e figli solo in termini etici e morali o di comparazioni tra le giovani generazioni e un mondo che non esiste più.

Tra scontri ideologici su cosa si può definire famiglia, dibattiti (maschili) sul ruolo dell’emancipazione di noi donne, colpevolizzazione delle giovani generazioni sul perduto spirito di sacrificio che invece caratterizzava positivamente le generazioni (femminili) precedenti sono in pochi quelli che mettono davvero al centro dello stato di salute delle famiglie (tutte) italiane il peso economico contemporaneo del fare figli e la scarsità di servizi.

In altre parole le politiche sulla famiglia della destra si preoccupano esclusivamente di preservare il modello cosiddetto tradizionale della famiglia senza preoccuparsi di, e anzi esplicitamente marginalizzando e discriminando, tutte le forme famigliari che non rientrano in quel modello. Basti pensare all’attacco alle famiglie omogenitoriali messo in campo dal governo all’indomani del proprio insediamento. O alla forte carica ideologica che caratterizza le politiche per la maternità.

La civiltà di un paese si basa invece anche sullo “stato di salute” delle famiglie (tutte), compresa la salute economica, del dibattito che si sviluppa e conseguentemente delle azioni che vengono messe in campo.

Perché, come ci ricordano gli affezionati del Family day, esiste l’art.29 della nostra Costituzione, ma poi si dimenticano che esistono anche l’articolo 30 e 31, ovvero quale sia il compito e il ruolo della Repubblica in aiuto alle famiglie, a partire da quello che fu il riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio.

Articoli e doveri mai davvero attuati in quanto sostituiti da quello che viene da sempre definito “welfare all’italiana” nel quale l’unica vera sussidiarietà che veniva contemplata era, ed è, quella che vede la sostituzione- nella formula dell’articolo 31 della Costituzione- dei nonni (e delle donne) alla repubblica come soggetti chiamati ad agevolare  “con misure economiche ed altre provvidenze la formazione della famiglia” con buona pace dei risvolti sociali, economici e demografici che questo comporta. 

In questi giorni il rapporto di Legacoop sul costo dei figli riporta questo dibattito ad un punto cruciale, anche se non esaustivo. Tanto pragmatico quanto essenziale. 

Pragmatico, si, ma essenziale perché le famiglie, sempre come ci ricorda la Costituzione, non sono una entità astratta ma formata da persone. Con le loro vite, fatiche, peculiarità, con diritti e doveri. Ed è la persona, uomo, donna, bambino, bambina che sia che “ha pari dignità sociale” e che è uguale “davanti alla legge” e che ha diritto “al pieno sviluppo della persona umana”  

Mancanza di welfare, disuguaglianze sociali e territoriali, pochi sostegni non aiutano certo ad attuare la Carta. E nemmeno le famiglie, tutte egualmente lese da questa mancanza di effettivi diritti, indipendentemente dalla loro composizione.

La Costituzione, e il ruolo della famiglia al suo interno, va applicata partendo da qui e non dal giudicare il tipo di famiglia. Il rapporto di Legacoop ce lo ricorda quando afferma che, in media, il 34% della spesa mensile famigliare va al mantenimento delle spese per i figli, con punte che arrivano fino al 70%, con oscillazioni verso l’alto soprattutto tra i genitori più giovani e tra i ceti meno abbienti.

Inoltre, nel dettaglio, si evince come tra le principali spese che una famiglia deve affrontare per i figli ci siano spese basilari come abbigliamento, spese scolastiche, testi e libri. E il 66% dei genitori ha rinunciato ad affrontare spese personali per poter affrontare le spese essenziali per i propri figli.

Il problema della natalità va affrontato partendo da questi dati e non da un generico “fate figli” o fantomatici assegni di maternità.

I figli, farsi una famiglia, il pieno sviluppo della persona, non possono essere un sogno per chi può permetterselo. Ma rimane il dovere di attuare fino in fondo la nostra amata Carta, attraverso sussidiarietà, servizi, cambi di rotta culturali, che non possono dipendere da dove si nasce o come si nasce.