Intervista su l’Unita di Umberto De Giovannangeli a Cecilia D’Elia
«Dopo due anni di governo di destra, l’equilibrio costituzionale dell’Italia è messo in crisi. La sinistra si sta unendo per creare una valida alternativa, cercando di ricostruire il legame tra le persone e la politica»
Cecilia D’Elia, senatrice, della direzione nazionale del Partito democratico: pace, lavoro, autonomia differenziata, giustizia sociale. Si prepara un autunno caldissimo. Quali le priorità per il Pd e il centrosinistra?
La priorità è ricostruire una speranza di futuro e di giustizia nella vita delle persone, a cominciare dall’impegno per la pace, per l’ambiente, per una vita più dignitosa. Lo abbiamo fatto con la proposta di salario minimo, che oggi è una raccolta di firme per la legge d’iniziativa popolare, dopo il trucco usato dalla destra per non discuterne in Parlamento, lo facciamo nella difesa della sanità pubblica e nelle proposte per il suo rifinanziamento, lo stiamo facendo ogni giorno con la raccolta firme contro l’autonomia differenziata, il cui successo dimostra che italiane e italiani hanno capito i rischi che questo progetto comporta per le loro comunità e le loro vite. Lo “spacca Italia” rende tutti più deboli e aumenta le disuguaglianze. Autenticando le firme ai banchetti, ho visto la disponibilità e l’attenzione di tanti cittadini. La priorità è innanzitutto confermare questo modo di fare opposizione: essere riconoscibili e credibili sulle questioni, strada per strada. Ricostruire un nesso tra vita delle persone e politica. L’ultimo Consiglio dei ministri prima della pausa estiva ci ha regalato la controriforma del preruolo universitario: dopo il taglio al fondo ordinario per l’università una scelta che aumenta la precarietà e tradisce la riforma del 2022. Una scelta contro una generazione, in questo caso quella impegnata nella ricerca, che si somma ad altre di segno punitivo fatte da questo governo nei confronti dei più giovani, dal decreto rave al voto in condotta, passando dalle scelte di criminalizzazione del decreto Caivano. Del resto, un tratto autoritario di questa destra è quello di governare attraverso il diritto penale: ho perso il conto dei nuovi reati inventati in questi due anni.
Elly Schlein insiste sulla “inclusione” come bussola per costruire un “campo largo” contro le destre. Ma non c’è il rischio che questo bisogno di unità finisca per edulcorare programmi, visioni, progettualità?
Nel 2022 siamo stati sconfitti politicamente. Ammiro il modo testardo e determinato con cui la segretaria lavora a costruire una credibile alternativa al governo Meloni. Perché coglie la portata della sfida, consapevole della responsabilità che abbiamo. Dare una risposta positiva e democratica contrastando le disuguaglianze, mentre la destra, tra premierato e autonomia, mina la democrazia rappresentativa e la coesione del Paese. Il bisogno di unità è un dovere democratico, ma non può essere la somma politicista di chi si oppone. Se si parte dai temi non ci sono programmi già scritti da edulcorare, ma obiettivi da costruire insieme. Un’alleanza non può essere solo la somma delle sigle politiche, deve avere un respiro sociale e popolare e deve saper mobilitare e coinvolgere luoghi e realtà che ogni giorno promuovono diritti e cittadinanza nel nostro Paese. Questo modo di costruire una coalizione salva anche dai rischi di trasformismo.
Una certa pubblicistica di sinistra imputa al Pd e alla sua segretaria di essere ancora troppo attenta ai temi dei diritti civili, di genere etc., e meno a quelli sociali. È così?
Questo modo di contrapporre diritti sociali e diritti civili è a dir poco arcaico. Potremmo leggere già l’articolo 3 della nostra Costituzione, come una felice sintesi tra bisogni di riconoscimento (l’uguaglianza “senza distinzione di…”) e istanze di redistribuzione (“è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli…”). Come sostiene il femminismo intersezionale ogni persona è attraversata da bisogni che tengono insieme più dimensioni identitarie e sociali. La segretaria che balla sul carro del Pride è la stessa che ha costruito l’agenda del Pd a partire dalla battaglia sul salario minimo.
Ci tengo poi a sottolineare che sminuire le cosiddette questioni di genere significa non cogliere la portata della rivoluzione femminista. Il venire al mondo della libertà delle donne è stato paragonato a una mutazione antropologica. La terribile sequenza di femminicidi ci parla di un’incapacità maschile a convivere con essa. La crisi del patriarcato produce una questione maschile che va politicamente interpretata. La destra lo fa, offre sicurezza al maschio bianco occidentale che si sente spodestato e declina in modo conservatore e stereotipato la differenza sessuale. Il continuo ritorno della messa in discussione dell’aborto legale e sicuro è il leit motiv di tutte le destre del mondo, spaventate dalla libertà delle donne. Ricordiamoci che Trump nel 2016 vinse grazie a un vantaggio di 30 punti tra gli uomini bianchi. Come si fa a non capire la centralità della questione maschile e la necessità di dargli risposte altre da quelle reazionarie? Il femminismo è per tutti, è la messa in discussione di un sistema di dominio che libera anche gli uomini, promuove una diversa convivenza e una nuova idea di stato sociale, fondato sulla cura e l’interdipendenza delle persone, su un nuovo equilibrio tra tempi di vita. Pensiamo ad esempio alla battaglia per i congedi paritari tra madri e padri. La segretaria è già su questa frontiera.
Tutto questo, in uno scenario di guerra, dall’Ucraina al Medio Oriente. Il martirio di Gaza continua, e il mondo sta a guardare.
È terribile, ci stiamo abituando al bollettino di guerra quotidiano. Continuo a pensare che la guerra sia la sconfitta della politica, e dell’umanità. In questi giorni le notizie continuano a parlarci di stragi di bambine e bambini. Una scuola bombardata a Gaza City, un crimine di guerra. Si ripetono le stragi di civili proprio mentre si intravede la possibilità di un negoziato. Il governo israeliano di estrema destra sta minando il terreno su cui costruire la pace e la sicurezza del proprio Paese. Un disastro che va fermato subito. L’Europa e la comunità internazionale devono prendere un’iniziativa per fermare Netanyahu. Bisogna ottenere un cessate il fuoco immediato e la liberazione degli ostaggi. È tempo che l’Italia riconosca lo stato di Palestina. Accanto al diritto di esistere di Israele, è necessario che i palestinesi abbiano un loro Stato, libero dall’occupazione, in cui esercitare democrazia e autodeterminazione. Ci vuole un sussulto di iniziativa dell’Europa, un protagonismo per imporre il cessate il fuoco. E lo stesso vale per il conflitto russo ucraino. Sostenere l’Ucraina che ha subito l’attacco di Putin è giusto, ma bisogna trattare, arrivare anche qui a un cessate il fuoco. E l’Europa deve essere protagonista dell’iniziativa diplomatica necessaria.
Siamo a quasi due anni di governo delle destre. Che bilancio fare?
Pessimo, purtroppo per l’Italia. Gli alibi sono finiti, il trucco di continuare a fare l’opposizione all’opposizione può ancora funzionare nella retorica di qualche intervento nelle aule parlamentari, ma non regge più nel Paese. Lo misuriamo con la raccolta firme per il referendum. Intanto il combinato disposto di autonomia differenziata, premierato e riforma della giustizia muta l’equilibrio costituzionale in senso autoritario. Frutto di un accordo tra componenti diverse, tenute insieme però non solo dal potere ma da un’idea di governo schiacciata sul comando. E se posso dire, anche sull’occupazione del potere. Non c’è spoil system che tenga, modalità, motivazioni, scelte stanno tutte a raccontare il senso di rivincita e la protervia di una maggioranza sempre pronta però a dichiararsi vittima, a indicare nemici. Penso al mondo della cultura, alla Rai, tra poco potrebbe essere il turno dello sport, già litigano tra di loro. Ho detto dell’uso ossessivo del diritto penale, dall’obbligo scolastico alla resistenza nonviolenta. Nel frattempo, sul Pnrr segniamo il passo, tradendo quegli obiettivi di occupazione giovanile e femminile, e di investimento nel sud che ci eravamo dati, per non parlare del piano nidi. E comunque il Pnrr rimane l’unico strumento di crescita che in questo momento ha l’Italia. Potrei, dunque, ricordare come il primo governo guidato da una donna, che vuole essere chiamata al maschile, ha colpito le pensioni delle donne, ha cancellato dalle conclusioni del G7 la garanzia dell’aborto legale e sicuro, ha infilato le associazioni sedicenti pro-vita nei consultori, è tornata indietro sull’abbassamento dell’Iva sui prodotti per l’infanzia e gli assorbenti. La presidente del Consiglio propone sé stessa, madre che lavora, come eccezione, una che ce l’ha fatta perché ha combattuto, ma questo non apre la strada alle altre, le mette a tacere come perdenti. È leader di una maggioranza sorda e arroccata, il dibattito parlamentare difficilmente riesce a produrre passi avanti. L’ultima immagine prima della pausa estiva che mi porto con me è la totale sordità sul tema carceri. Persino sui figli delle detenute madri, persino di fronte ai 65 suicidi di quest’anno. Ci hanno fatto discutere un decreto che neanche citava il sovraffollamento, siamo ormai al 130%, 14.500 detenuti in più dei posti regolamentari disponibili. Questo nonostante nelle audizioni, il mondo delle associazioni, dei lavoratori e la magistratura chiedevano interventi per diminuire la popolazione detenuta. In questo caso c’è qualcuno che ha meno diritti di altri. Come ha ricordato la nostra segretaria alla Camera, invitando a visitare le carceri, a parlare con i detenuti, «vi accorgerete che non c’è dentro un’umanità altra, è la stessa, è la nostra». E tra questi, 26 bambine e bambini, innocenti assoluti, come dice Luigi Manconi, dietro le sbarre.