di Toni Mira
Il sovraffollamento delle carceri è colpa della magistratura che mette le persone in prigione e non delle nuove leggi del governo. L’incredibile affermazione è del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, in risposta al Senato ad un’interrogazione di Ivan Scalfarotto. Incredibile anche perché contraddetta da un documento ufficiale del ministero che porta proprio la firma di Nordio.
Partiamo dalla risposta all’interrogazione. “Vorrei dire – ha affermato il ministro nell’aula – che se aumenta il numero dei carcerati non è colpa del Governo, ma di coloro che commettono dei reati e della magistratura che li mette in prigione, anche perché non risulta che siano stati imprigionati in base a nuove leggi promulgate da questo Parlamento”. Eppure pochi giorni fa lo stesso Nordio ha inviato al Parlamento la “Relazione concernente la disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei detenuti minorenni” relativa al 2024. Un documento pieno di dati. Nel 2024, si legge, “si è registrato un consistente incremento di ingressi” negli Istituti Penali per Minorenni “tale da superare ampiamente i livelli pre-pandemia”. Numeri preoccupanti che al ministero non negano. Come la presenza media giornaliera negli Istituti penali, cresciuta da 320 del 2021 a 556 del 2024. Con una crescita anno dopo anno. “Osservando il numero degli ingressi negli anni 2018 – 2024, vediamo che nel 2018 il totale degli ingressi è stato 1.132 e, nel 2024, è arrivato a 1.258”. Un incremento che “ha messo a dura prova il sistema detentivo minorile sia sul piano strutturale che organizzativo, determinando condizioni di sovraffollamento, cui in buona parte possono essere ricondotti molti noti eventi critici”. Il riferimento è a rivolte, atti violenti, incendi, fughe e tentativi.
Gli anni della pandemia sono ormai capitolo lontano: nel 2019 gli ingressi erano stati 1.028, precipitando a 713 nel 2020, per poi risalire a 813 nel 2021, a 1.051 nel 2022 e 1.142 nel 2023. Ma la stessa Relazione mette le mani avanti in vista di un possibile peggioramento. “Sarà importante verificare, nel corso degli anni, se il dl del 15 settembre 2023, n.123, cosiddetto “Decreto Caivano” – che è intervenuto precludendo l’accesso alla messa alla prova per alcuni delitti – produrrà modifiche relativamente alle fattispecie di reati dei giovani che accedono alle misure di comunità”. Quanto denunciato dalle associazioni e dai magistrati per i minori. E l’esatto contrario di quanto affermato dal ministro al Senato. La Relazione, pur portando la firma del ministro della Giustizia, come si legge nell’intestazione è stata elaborata dal Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del ministero. Il ministro ha ben altre convinzioni. Lo scorso 3 aprile rispondendo ad un’interrogazione della senatrice di Avs, Ilaria Cucchi ha negato “l’intento “carcerocentrico” dell’attuale amministrazione”, ha ammesso che “il comparto minorile vive un frangente di pregnante criticità, dovuto al sovraffollamento”. Ma questo, assicura, “non ha minimamente risentito delle modifiche introdotte dal “decreto Caivano””. Nessun dubbio, dunque, in evidente contraddizione col suo Dipartimento.
Ma allora perché ha firmato una Relazione al Parlamento che dice esattamente il contrario? E che anche in altre parti non sembra molto in sintonia con la linea securitaria del Governo. Ad esempio per quanto riguarda i motivi di ingresso in carcere “appare in maniera abbastanza evidente l’aumento degli ingressi di giovani provenienti dai Cpa (Centri di prima accoglienza, ndr) che passa da 253 del 2018 a 330 del 2024 (ma era stato anche di 137 unità durante il Covid)”. Si tratta, soprattutto, di minori stranieri per i quali, oltretutto, “la possibilità di definire progetti di reinserimento sociale appare particolarmente limitata”, in particolare per quelli che “non riescono ad avere un titolo di soggiorno che gli garantisca la permanenza regolare sul territorio e la possibilità di accedere a contratti di lavoro regolari e ad eventuali benefici elargiti a sostegno delle popolazioni fragili”. Conseguenza di tanti provvedimenti governativi che penalizzano i giovani immigrati.
Ma il sovraffollamento porta ad un’altra grave conseguenza, già segnalata dalle associazioni di volontariato, e che troviamo nella Relazione. “Si assiste alla duplicazione dei trasferimenti a strutture per adulti sia in termini assoluti che in percentuale, infatti, nel 2018 sono stati effettuati 90 trasferimenti pari al 8% del totale delle uscite mentre nel 2024 sono stati 189, pari al 17% circa del totale”. Un’esigenza che “si è resa sempre più cogente per rispondere alla riduzione del sovraffollamento”. Insomma, riconosce il ministero, “l’incremento degli ingressi verificatosi nel corso del 2024, ha comportato maggiore complessità nella gestione degli Istituti penali per i minorenni”. Il Governo manda i minori in carcere, grazie a nuove leggi solo repressive, e il sistema va in crisi. In particolare al Nord.
Infatti, “l’aumento del numero di ingressi per arresto o fermo si è verificato in modo nettamente più evidente nei distretti giudiziari del Nord: ciò ha inevitabilmente comportato una costante e considerevole assegnazione di minori/giovani adulti presso Istituti penali per i minorenni situati anche a notevole distanza dai territori di appartenenza”. Così in molti casi “non è stato possibile assicurare il principio della territorialità dell’esecuzione penale, con inevitabili ricadute anche sullo sviluppo di progettualità all’esterno, che trovano un senso compiuto soltanto se realizzate presso i territori di provenienza”. La Relazione ricorda, infatti, come la territorialità è “tra i principi cardine del procedimento penale minorile” in quanto “consente la continuità delle relazioni personali, familiari, sociali, nonché la lettura e la ricomposizione dei conflitti di cui il reato è espressione”. Invece sta accadendo il contrario. “L’afflusso negli Ipm del Sud e anche del Centro Italia di ragazzi provenienti da altri contesti territoriali, con una prevalenza di utenza straniera – in netto aumento nel corso degli ultimi mesi – portatrice di gravi disagi psichici e con pregresse esperienze di violenze e abusi subiti, con una componente di immigrati di seconda generazione, provenienti spesso da quartieri periferici delle città del Nord e un’altra componente di minori non accompagnati, senza fissa dimora e privi di riferimenti in Italia, ha comportato inevitabilmente un turbamento degli equilibri interni agli Ipm e ha reso difficile la convivenza tra i detenuti, appartenenti a differenti culture, e tra detenuti e personale di polizia penitenziaria”. E questo ha portato a frequenti “eventi critici, con un moltiplicarsi di peculiari difficoltà di convivenza, spesso sfociate in veri e propri conflitti tra gruppi di diversa appartenenza culturale, in agiti violenti, auto ed etero-diretti, e in danneggiamenti a beni e strutture dell’Amministrazione”.
A scapito della funzione di rieducazione del condannato, come recita l’articolo 27 della Costituzione. Ancor più se minorenne.