di Nicola Zingaretti, intervista pubblicata su La Repubblica il 3 Luglio 2024
«Il nostro processo di aggregazione è molto più avanti di quello che le forze alternative alla destra stanno compiendo adesso in Francia», rivendica Nicola Zingaretti, l’ex segretario del Pd che sul cosiddetto campo largo, antesignano del fronte popolare transalpino, ci ha (quasi) rimesso le penne. Riunito col gruppo di S&D a Strasburgo in vista del voto su von der Leyen, plaude all’apertura di Carlo Calenda e intravede, «finalmente», l’inizio di un percorso comune del centrosinistra, in grado di contendere la guida del Paese alla coalizione trainata da Giorgia Meloni.
Quali analogie ha il fronte anti-Le Pen rispetto a quello italiano?
«In Francia la ricerca dell’unità è positiva, ma nasce più sull’onda di una contingenza — fermare l’estrema destra — che su una convergenza programmatica reale. Noi siamo più avanti perché finalmente tutti convinti, moderati e progressisti, che l’unità vada ricercata su un progetto condiviso per l’Italia e per l’Europa. Mettersi insieme “per” qualcosa qualifica il nostro percorso, fa la differenza e rende anche più forte la battaglia contro i sovranisti perché parla ai bisogni delle persone».
Sta dicendo che la santa alleanza invocata da Macron è una finta destinata a creare instabilità?
«Io ho fiducia che avrà successo, ma siamo pur sempre davanti a uno scontro tra una proposta di governo pericolosa, quella di Le Pen che punta a disgregare l’Europa e a rinchiudere la Francia nel recinto degli egoismi nazionali, e una scelta unitaria di chi fino all’altro ieri ha pensato solo a combattersi».
Ma lo stesso problema, le opposizioni che si fanno la guerra fra loro, non esiste pure in Italia?
«C’è stato sicuramente nel passato e lei sa quanto io ho contrastato questa cultura della divisione. Ma credo che oggi, grazie soprattutto al Pd di Schlein, si sia aperta una fase nuova, che non è una formula, ma un processo finalizzato a costruire l’alternativa di governo, in stretto rapporto con il Paese, su un’agenda chiara: il lavoro e i diritti sociali. Penso alla legge sul salario minimo, alla difesa della sanità pubblica e dell’unità d’Italia contro la secessione leghista, al diritto allo studio che è il grande assente delle politiche della destra che sta negando il futuro alle nuove generazioni».
È la piattaforma declinata da Calenda su Repubblica. Sorpreso?
«Sono contento della posizione di Carlo che, parlando di un possibile percorso unitario, contribuisce anche lui ad aprire una fase diversa dell’alleanza progressista, ancorata ai contenuti e non agli anatemi».
Azione però non parteciperà al Comitato per il no all’autonomia, mentre Zaia ha già chiesto la devoluzione sulle materie non Lep.
«Azione raccoglierà comunque le firme insieme a noi contro una legge folle, che crea una frattura nel Paese destinata a indebolire molto anche il Nord. Nel mondo, con grandi economie come quella cinese, può competere l’Europa e un grande Stato come l’Italia, non una singola Regione. E con il sì all’autonomia FdI ha dimostrato che la patria la “usa” come elemento identitario, ma non la difende. Come non lo fecero i fascisti alleati dei nazisti contro i partigiani. Il referendum sarà una battaglia che andrà oltre i confini dei progressistia tutela del tricolore e dell’Italia».
Intanto a Bologna, sul palco dell’Anpi c’era tutta la minoranza tranne i centristi. Il fronte non rischia di nascere deformato, troppo schiacciato a sinistra?
«Valori come quelli dell’antifascismo dovrebbero essere patrimonio di tutti. Il percorso che abbiamo avviato è forte perché incardinato sull’incontro tra forze politiche, sociali, mondo produttivo e della cultura per dar vita a una coalizione antitetica a una destra che ha vinto le elezioni perché unita nella denuncia dei problemi, senza essere capace di risolverli. I moderati potranno svolgere un ruolo essenziale sui contenuti».
Però la loro unità paga.
«E tuttavia l’imbroglio del collage programmatico sta emergendo con chiarezza. Negli ultimi 20 giorni la maggioranza si è tenuta insieme con un ricatto reciproco: premierato al Senato voluto da FdI, autonomia leghista alla Camera e riforma della giustizia approvata in Cdm su spinta di FI. Non è solo un patto osceno, ma un danno per l’Italia. Mi devono spiegare come può funzionare un Paese che ha il premier eletto dai cittadini, con un presidente della Repubblica depotenziato nel suo ruolo di garanzia, e 20 regioni che si fanno ciascuna la propria politica estera ed energetica».
Pensa che Calenda abbia voluto lanciare un amo a Marina Berlusconi, che ha aperto sui diritti civili e dato l’altolà agli estremisti?
«Calenda ha espressamente auspicato l’unità delle forze progressiste sui diritti sociali. E poi credo che quel messaggio fosse rivolto alla premier e alla sua disastrosa tentazione di schierarsi contro l’Europa per strizzare l’occhio a Le Pen e compagni».
Se FdI dovesse votare a favore di von der Leyen il Pse si sfilerà?
«Non è questo il tema, ma condizionare l’azione del governo europeo nei prossimi 5 anni. Ma certo il nì di Meloni che si è astenuta, mentre un vicepremier ha detto sì e l’altro no rafforza il giudizio di inaffidabilità su di noi. E io da italiano soffro perché non ce lo meritiamo».