di Cecilia D’Elia
Lato Senato è stata una settimana impegnativa per le norme sulla scuola. Mercoledì scorso è stato approvato il disegno di legge sulla sicurezza del personale scolastico, che è così diventato legge. Nel frattempo, in Commissione settima stiamo discutendo un disegno di legge sulla valutazione del comportamento degli studenti. Su tale provvedimento martedì si è tenuta una conferenza stampa delle associazioni del mondo della scuola, insegnanti, genitori, sindacati, preoccupate per un emendamento del governo al disegno che cancella il giudizio descrittivo nella scuola primaria, spazzando via di punto in bianco tutto il lavoro fatto in questi anni. Ma siccome le disgrazie non vengono mai da sole, la settimana si è chiusa con l’arrivo di un nuovo emendamento del governo a questo testo, che introduce una multa, pena accessoria, da 500 a 10.000 euro per chi viene condannato per violenza nei confronti del personale scolastico.
E così in un testo sulla valutazione del comportamento, viene infilata una norma penale, l’ossessione di questo governo: a ogni problema la sua pena.
Ma il diritto penale non è la soluzione di tutti i mali, quando la politica si rivolge sempre e solo a questo strumento, non solo definisce una società del controllo e della disciplina, ma abdica al suo ruolo di comprensione, prevenzione, trasformazione, governo dei processi.
Cosa ancor più grave nella scuola, che è il luogo della relazione educativa, del dialogo, della cittadinanza.
Come ricorda il Consiglio superiore della pubblica istruzione: “Aggressività e violenza, di qualunque natura e provenienza, non possono essere tollerate in alcun contesto del vivere civile e in particolare nella scuola, importante e primario luogo di educazione sociale e civile, di costruzione di una visione della persona e della società, del suo “essere” ed “essere nel mondo” come soggetto attivo, responsabile, solidale.
Obiettivi raggiungibili soltanto con azioni congiunte di tipo istruttivo e educativo in un luogo come la scuola, spazio pubblico dedicato alla formazione delle persone e dei cittadini che garantisce l’incontro e il confronto fra generazioni, l’elaborazione dei saperi e la trasmissione del patrimonio culturale di un popolo”.
E in questa direzione servirebbero interventi per il rafforzamento del tempo scuola, il superamento del precariato, per rafforzare la comunità scolastica nel suo insieme. Interventi tesi a ricostruite la relazione con le famiglie, anche nei contesti più difficili.
Perché quel disagio che gli atti di violenza segnalano, richiede una strategia che chiama in causa la comunità, le scuole abitano un contesto sociale, possono interagire a beneficiare del supporto degli attori sociali territoriali a sostegno della crescita e del benessere della comunità scolastica.
Prima delle norme penali dovremmo leggere il carico di malessere e di sofferenza che viene registrato da diversi anni, aumentato dall’emergenza sanitaria del Covid, che ha segnato il mondo della scuola e le sue componenti.
Abbiamo cercato di inserire questa complessità nel ddl attraverso emendamenti che allargavano l’Osservatorio previsto non solo alla sicurezza del personale scolastico ma a quella di tutta la comunità educante, prevedevano il ricorso a figure a sostegno della stessa, educatori, pedagogisti, psicologi, come richiesto dagli stessi studenti.
Tutti bocciati, rimane una legge che inserisce nel Codice penale, da un lato, un’aggravante generale- all’art.61, relativa all’aver agito, nei delitti commessi con violenza o minaccia, in danno di un dirigente scolastico o di un membro del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico o ausiliario della scuola.
A fianco di tale aggravante si introducono due ulteriori, specifiche ipotesi aggravanti, nel caso dei reati di cui all’art. 336 e 341bis del Codice penale, ovvero “violenza o minaccia ad un pubblico ufficiale” e “oltraggio a pubblico ufficiale”. Fattispecie di reato la cui pena viene aggravata – fino alla metà – se il fatto è commesso dal genitore esercente la responsabilità genitoriale o dal tutore dell’alunno nei confronti di dirigente scolastico o di un membro del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico o ausiliario della scuola.
Queste norme penali sono il succo della legge perché, per il resto, l’Osservatorio dovrà promuovere una serie di interventi per favorire un clima di collaborazione e monitorare la situazione, ma tutto a invarianza finanziaria.
Uno spot a beneficio della stampa, che cerca di rassicurare qualche docente, ma non si vede nessuna politica che davvero provi ad evitare che fenomeni di violenza si verifichino. Prevenirli realmente e riconoscere ai docenti la loro professionalità e autorevolezza.
Perché la trappola dell’abuso del diritto penale è proprio questa: trasformando tutti i docenti in vittime paradossalmente ne cancella il ruolo attivo di trasformazione delle relazioni nella scuola, di agenti di cambiamento, di educatori.
Per questo è sbagliato intervenire solo su questo versante.
Ma sembra l’unico conosciuto dalla destra, che ha inaugurato l’azione di governo contro con i rave. A cui è seguito il decreto Caivano, con sanzioni a carico dei genitori.
Punire, punire, punire, ossessione che rischia di criminalizzare un’intera generazione.
Del resto, non sono riusciti a chiedere scusa per i manganelli a Pisa.
Nel caso di questa legge siamo dentro la scuola, restano ferme le responsabilità penali e la necessità di sanzionare i colpevoli, ma non serve e non basta se non si affrontano i nodi strutturali, se non si ricostruisce l’alleanza scuola famiglia, se non si restituisce alla scuola la sua funzione di istituzione fondante della più ampia comunità democratica e non di servizio che risponde a interessi soggettivi. Grande questione che riguarda il rapporto tra la scuola e le famiglie.
Lo stesso terribile errore si sta compiendo sulla valutazione, dove si vuole cancellare nella primaria il giudizio descrittivo e irrigidire le norme sul voto in condotta.
La strada, in questo e in quel caso è rafforzare la relazione educativa, il senso del fare scuola, che non è solo nella funzione selettiva e sanzionatoria, ma soprattutto nell’opportunità di promozione umana, nella sua complessità.
È in atto una svolta autoritaria, e parte colpendo non a caso il mondo della scuola.