Per gentile concessione dell’Huffington Post, pubblichiamo l’articolo di Stefano Vaccari.
Saranno settimane importanti le prossime per parlare di presente e di futuro. Alla vigilia di un importante appuntamento del G7 presieduto dal nostro Paese dedicato al tema della digitalizzazione dell’industria e all’intelligenza artificiale, è fondamentale capire quale ruolo l’Italia possa svolgere nella definizione di una governance. Tutto sta in un quadro europeo e mondiale. Essere utili alle persone parte da qui, dalla consapevolezza che per costruire uno stato più giusto dobbiamo e possiamo servirci di un’intelligenza artificiale ancorata a dei valori. Abbiamo vissuto il tempo del Covid e anche solo sulle vaccinazioni gli esempi più virtuosi sono quelli in cui la tecnologia ha funzionato per sopperire alla discrezionalità umana, ai favori agli amici, alle conoscenze dirette, istituendo un criterio e un meccanismo universale che ha aiutato tutti. Questo ci insegnano le amministrazioni anche locali che ne hanno fatto buon uso. La competitività solidale non distrugge la persona ma con una regia dietro, aiuta il mettere la persona al centro.
“Dobbiamo fare in modo che la rivoluzione che stiamo vivendo resti umana. Cioè, iscritta dentro quella tradizione di civiltà che vede, nella persona – e nella sua dignità – il pilastro irrinunziabile”, ha detto Mattarella nel discorso di fine anno.
Ci sono delle parole nella nostra bellissima lingua e, per la precisione, nelle due lingue madri, il greco e il latino che hanno la potenza di essere doppie, ancipiti si dice. Una parola con due facce è sorte, fortuna. In greco come in latino la parola poteva avere connotazione negativa o positiva a seconda del caso appunto.
L’intelligenza artificiale è qualcosa di ancipite, come la sorte, ma dal momento che dall’uomo è stata forgiata, sta a noi tutti, nei nostri diversi ruoli, di cittadini e cittadine, imprenditori e imprenditrici, amministratori e amministratrici, legislatori e legislatrici governarne le due facce, le opportunità e i rischi e fare chiaramente in modo che le prime prevalgano evitando che i secondi diventino gli spauracchi del futuro.
Gli scenari aperti dall’intelligenza artificiale, un arcipelago di tecnologie diverse, sono molteplici. Non dobbiamo né fermare il processo, né rassegnarci a non governarlo, non possiamo però lasciare nelle mani delle grandi multinazionali dell’ICT il grande patrimonio dei dati che nutre queste tecnologie. In Italia c’è ancora poco dibattito su questo ma sono in gioco i diritti fondamentali delle persone. Alla Camera dei deputati abbiamo lavorato con il Comitato di vigilanza sull’attività di documentazione su come utilizzare l’intelligenza artificiale a supporto del lavoro parlamentare. Un lavoro prezioso che ha messo al centro proprio la capacità generativa dell’IA audendo competenze di assoluto valore.
In Europa auspichiamo l’entrata in vigore già entro la fine dell’anno dell’AI act, un regolamento sull’ intelligenza artificiale, al quale abbiamo contribuito e su cui il nostro gruppo nel Parlamento Europeo si è speso molto arrivando all’approvazione: identificazione biometrica, discriminazioni di genere, limiti ai sistemi di polizia predittiva, obbligo di trasparenza, sono alcuni dei punti decisivi per orientare la gestione delle applicazioni che l’IA porta con sé. Dobbiamo, inoltre, occuparci anche dell’addestramento dell’intelligenza artificiale nel rapporto con il mondo del lavoro. Un’altra preoccupazione infatti è quella di non pensare di favorire tutte le aziende che si occupano di IA, ma pretendere delle condizionalità, il rispetto di alcuni diritti, per esempio come regolare il lavoro di chi opera per le grandi piattaforme, cosa su cui continueremo a batterci, nonostante il recente affossamento della direttiva europea, parliamo per esempio dei rider, pagati a cottimo e sfruttati. L’IA sostituirà alcune attività lavorative, anche quelle più creative, ma per questo serve la politica, per non lasciare indietro nessuno e perderlo per strada.
E nella giusta azione di regolamentazione, bisogna anche tutelare. È infatti chiaro che le grandi aziende partono avvantaggiate e che dobbiamo pensare alle PMI che sono come sempre quelle che più rischiano. O alle singole persone, basti pensare al diritto d’autore. Sulle piccole e medie imprese si apre una riflessione profonda che va dalla disponibilità di dati e informazioni alla capacità di investimento che avvantaggiano in modo diseguale le grandi imprese. Favorite inoltre dalla possibilità di commercializzare in maniera sempre più capillare e segmentata e dunque permeante che non consente alle piccole di competere sull’alternativa ma semmai dobbiamo pensare proprio a come favorire la connessione tra imprese e la concentrazione nei settori dove più risolutiva può essere la cooperazione.
C’è anche una questione etica e democratica e per la quale dobbiamo stare attenti a non far vincere il cosiddetto “marketing della paura” che ci impedirebbe di cogliere il buono che indubbiamente c’è. Per questo è necessaria una governance globale in cui tutte le superpotenze sono chiamate a svolgere un ruolo attivo e una condivisione di responsabilità nell’attuazione delle politiche. Per non lasciarsi sopraffare dalla priorità data al mercato dagli Stati Uniti o dalla concentrazione di risorse che la Cina sta mettendo sull’IA. Per questo sarebbe folle posizionarsi sulla strenua difesa del Made in Italy, soprattutto se nel Made in Italy non è compreso un aspetto importante, questa innovazione. Possiamo fare in modo che l’AI sia per l’Italia un motore di cambiamento come lo è stata l’energia elettrica. Ma bisogna crederci e investirci risorse e competenze. Auspichiamo che la presidente Meloni stia lavorando e studiando su questo e che cerchi un confronto utile proprio a far avanzare l’Italia, per non farci perdere altro terreno al tavolo delle poten