Sbarchi: quando il successo della politica della Meloni sa di morte, violenze e sopraffazioni

di Toni Mira

Non passa giorno che qualche esponente del governo e della maggioranza di destra, rivendichi il calo degli sbarchi dei migranti sulle coste italiane, come grande successo della politica estera di Giorgia Meloni. Un successo che in realtà sa di morte, violenze, sopraffazioni. Sulla riduzione degli sbarchi i numeri sono evidenti. Gli ultimi sono quelli forniti recentemente da Frontex, l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne. Si legge che nei primi sette mesi dell’anno i migranti sbarcati sulle rotte del Mediterraneo centrale sono diminuiti del 64%, rispetto allo stesso periodo del 2023. Fonte ufficiale, dunque. Tutto vero. Ma a che prezzo. Ce lo dice un’altra fonte ufficiale, l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim). Secondo l’Agenzia collegata alle Nazioni Unite, dall’inizio del 2024 sono stati 421 i morti e 603 i dispersi nella rotta del Mediterraneo centrale. Proprio quella del forte calo di sbarchi. Mentre i morti non diminuiscono. I dati forniti dall’Oim sono uguali a quelli dello scorso anno, oltre mille morti in sette mesi. Ma quest’anno è molto peggio. Si sbarca di meno ma in proporzione si muore di più. Nel 2023 la percentuale dei morti rispetto agli sbarcati era stata dell’1%, quest’anno siamo al 2,67%, più del doppio. Le probabilità di non farcela, di naufragare, di scomparire lungo questa rotta, sono dunque più alte. C’è davvero poco da esultare sui successi del governo, oltretutto rivendicando gli accordi con Libia e Tunisia. Perché i drammi non finiscono qui. Infatti, sempre secondo l’Oim, nello stesso periodo i migranti intercettati in mare e riportati in Libia sono stati 13.323, tra loro 11.830 uomini, 912 donne e addirittura 445 minori. Tutte persone che finiscono in mano alla cosiddetta Guardia costiera libica o a qualche milizia, vengono chiusi in veri e propri lager, vittime di violenze e torture, costretti a pagare nuovamente per ritentare la rotta verso l’Italia. Davvero un grande successo… sulla pelle dei più poveri, dei più fragili, dei più disperati. Soprattutto i subsahariani.

Oltretutto nei dati forniti dall’Oim non compaiono i migranti bloccati e respinti dalla Guardia costiera tunisina, anche questa equipaggiata dall’Italia, come quella libica, proprio per fare questo lavoro “sporco”. Migranti che poi finiscono in mano a gruppi militari come le “tigri nere”, unità speciale antiterrorismo tunisine tristemente note per violente operazioni di sgombero di migranti subsahariani poi abbandonati nel deserto libico o algerino. Tutto ampiamente documentato. Ecco il vero e drammatico risultato del calo degli sbarchi. Non è quel “blocco navale” che Giorgia Meloni aveva più volte chiesto negli scorsi anni, ma è molto peggio. Oltretutto vanno letti beni i numeri del calo forniti da Frontex. Intanto non riguardano solo l’Italia. Infatti il numero di chi ha provato a raggiungere le frontiere esterne europee è sceso del 36% nei primi sette mesi dell’anno, frutto sicuramente del -64% della rotta del Mediterraneo centrale ma ancor di più del -75% di quella dei Balcani occidentali. E sappiamo che anche qui i diritti sono regolarmente calpestati. Invece c’è un fortissimo aumento di chi arriva sulla frontiera terrestre orientale (+195%) e dalla rotta dell’Africa occidentale (+154%), in gran parte verso le Isole Canarie. Anche Frontex spiega il calo nel Mediterraneo centrale principalmente con le misure preventive adottate dalle autorità tunisine e libiche per contrastare le attività dei trafficanti.

Malgrado questo, segnala l’Agenzia Ue, gli arrivi da Libia e Tunisia rappresentano ancora il 95% di tutti i migranti segnalati sulla rotta del Mediterraneo centrale. Ma questo il Governo ovviamente non lo dice. Così come non parla mai della rotta del Mediterraneo orientale che quest’anno ha avuto un aumento del 57% arrivando a quasi 29.700 persone. È la rotta dalla Cirenaica e dalla Turchia (quattro barche soccorse solo nell’ultima settimana), quella dei naufragi di Steccato di Cutro del 25 febbraio 2023 con 94 morti e decine di dispersi, e quella del 17 giugno di quest’anno, al largo delle coste della Locride, con 36 morti e almeno 25 dispersi. Lo scorso 7 agosto 21 salme senza nome del secondo naufragio sono state sepolte nel cimitero di Armo a Reggio Calabria. Vittime non identificate, che nessuno ha riconosciuto o reclamato. Ora hanno una tomba nel cimitero realizzato, in collaborazione col Comune, dalla Caritas italiana per accogliere i migranti morti nel Mediterraneo e i poveri della Città: 146 tombe, molto già occupate a cominciare dai 45 corpi recuperati da un naufragio nel 2016. E non ci si è mai fermati. Tra i 21 ci sono 8 minori e intere famiglie (lo ha certificato il Dna) ma senza nome. La scorsa settimana altri 13 corpi dei quali si è riusciti a ricostruire le generalità sono invece partiti con un aereo militare iracheno. Ad accompagnare con un momento di riflessione e preghiera la sepoltura, c’erano solo i “soliti”, i soliti che salvano, soccorrono, accolgono, accompagnano, consolano. Sono le donne e gli uomini delle Caritas e degli uffici Migrantes delle diocesi di Reggio Calabria-Bova e Locri-Gerace, del Coordinamento diocesano sbarchi di Reggio, della Croce Rossa, della Protezione civile, delle Forze dell’ordine, in particolare la Guardia costiera, della Prefettura. Volontari, Chiesa, Istituzioni. Loro c’erano come ci sono sempre. Davanti a quelle bare, una più piccola e bianca, un’altra più grande per ospitare una mamma col suo piccolo ancora non nato, morto senza conoscere la nuova terra verso la quale la mamma lo stava portando, terra di speranza e libertà per chi fugge da terre di violenza e intolleranza.

Su ogni bara un biglietto con un numero e un’unica parola. “Salma”. Scene già viste dopo i naufragi di Cutro e Lampedusa, ma questa volta è diverso. Nessun ministro o sottosegretario, nessun politico nazionale o regionale. Neanche una presenza di parole, nessun commento, nessun comunicato per queste 21 persone. Roma è lontana, distratta. “A questi morti non sono stati riconosciuti i diritti che a tutti vengono riconosciuti. Per molti restano migranti di serie B, come lo è stato il loro naufragio di cui poco s’è detto e scritto. Un naufragio di serie B, che ha visto interessati pochi politici!”. denuncia con forza il vescovo di Locri-Gerace, don Franco Oliva, aggiungendo “È stato fatto il possibile per evitare questa sciagura? È possibile che la sensibilità dell’uomo moderno resti indifferente di fronte alla situazione disperata di quanti affrontano questi viaggi senza un minimo di sicurezza in barconi fatiscenti?”. Tra i dispersi di questo naufragio ci sono i genitori di Nalina, la bimba irachena di 10 anni sopravvissuta al naufragio aggrappandosi al relitto con l’aiuto del 22enne Ismail. Non ce l’ha fatta, invece, il piccolo tunisino Anas, di soli 6 anni, vittima col papà di un tragico naufragio del 5/6 febbraio. Una barca, proveniente dall’Algeria, con 18 persone affondata mentre tentava di raggiunge la Sardegna. Venerdì scorso a Lamezia Terme si è svolto un incontro di preghiera interreligiosa. Il suo corpicino era stato portato dal mare fino alle coste calabresi, recuperato da alcuni pescatori e identificato grazie al Dna della mamma rimasta in Tunisia. Anche per lui nessun politico, solo preghiere e commozione. Una scelta diversa da quella del naufragio di Cutro, quando tutte le 94 bare, 34 quelle bianche, vennero allineate nel palazzo dello sport di Crotone. Una scena che imbarazzò il governo e che in tanti ora hanno preferito evitare perché fa paura, è scomodo, confrontarsi con queste bare e con chi le accompagna. Meglio il silenzio e voltare pagine e poi, magari, come dopo Cutro, approvare dei decreti che assurdamente portano quel nome ma che rendono ancora più difficili i soccorsi, penalizzano migranti e chi li salva. Così aumentano i morti nel “mare mortuum” come lo ha definito papa Francesco.

Meglio parlare d’altro, dei grandi successi degli accordi coi regimi di Tunisi e Tripoli.