Tirocini in Italia: da opportunità a sfruttamento

di Mattia Ciappi

I tirocini in Italia, nati come strumenti per avvicinare i giovani al mercato del lavoro, si sono trasformati per molti in una trappola di precarietà. Nonostante siano considerati una tappa quasi obbligata per chi si affaccia al mondo professionale, i numeri raccontano una realtà deludente. Nel 2022 sono stati attivati oltre 313.000 tirocini, ma solo il 5% ha portato a un contratto a tempo indeterminato. Questo significa che la stragrande maggioranza dei giovani vede il proprio impegno dissolversi senza alcuna prospettiva concreta.

A peggiorare la situazione c’è il dramma della retribuzione. Il 58% dei tirocini in Italia non è pagato. E quando lo è, l’indennità mensile oscilla spesso tra i 400 e i 600 euro, cifre che, in un contesto di inflazione e caro vita, non consentono ai giovani di rendersi indipendenti. Troppo spesso i tirocini sono usati dalle aziende come una forma di manodopera a basso costo, aggirando contratti stabili e privando i lavoratori di diritti fondamentali.

Questo sistema non è solo ingiusto, ma controproducente. Privare i giovani di opportunità reali significa compromettere il futuro del Paese, perché senza certezze economiche e professionali le nuove generazioni non possono costruire una vita autonoma.

Un primo segnale positivo arriva dall’Europa. La recente nomina di Nicola Zingaretti come relatore della direttiva europea sui tirocini in Commissione CULT del Parlamento Europeo rappresenta un passo importante.

A livello italiano dobbiamo fare molta strada e non mi sembra che il governo abbia intenzione di intraprenderla. Serve una riforma strutturale dei tirocini che garantisca retribuzioni dignitose e condizioni uguali per tutti, a prescindere dalla regione o dall’azienda ospitante. Bisogna introdurre un sistema di monitoraggio che penalizzi chi abusa di questo strumento, assicurando che i tirocini siano veri percorsi di crescita e non sostituti di contratti regolari.

Non si tratta solo di una questione economica, ma di giustizia sociale. I giovani non chiedono trattamenti di favore, ma un riconoscimento del loro valore e del loro contributo. È tempo di trasformare i tirocini in ciò che dovrebbero essere: una porta d’accesso al lavoro, non un vicolo cieco. L’Italia non può permettersi di perdere i suoi talenti in un sistema che non li rispetta né li valorizza.